martedì 26 marzo 2019

La Cripta - Ombra

Il mio mare magnum, la mia Ombra-Cripta, è in me e io la “sento”. 

Ne apprezzo la parte immaginativa che vi rinchiusi ai miei primi passi e che negli ultimi anni, grazie al lavoro in Loggia ho cercato di “prelevare”.

Proprio in Loggia, lavorando assieme agli altri Fratelli, riflettendo sul lavoro di tutti e sul loro lavoro in particolare, ho trovato appigli interiori che mi hanno permesso di camminare.

Prendere le distanze dai mostri del mio mare e “riconquistare” il resto, mangiare l’ombra per usare una felice espressione di Robert Bly. (Il piccolo libro dell'ombra, Ediz. Red)

Mangiare è termine più completo di riappropriarsi. Fa venir in mente il prendere una piccola parte, sminuzzarle e tritarla, impastarla e farne un piccolo bolo, inghiottirla, scomporla in parti più semplici, assimilarla, assorbirla e digerirla, ed infine espellere il non riassorbibile.

Preferisco il termine cripta a quello di ombra perché mi pare descrivere meglio il mio “altro”, non solo il negativo.

Leggo in una celebrazione di Giordano Bruno ( Giordano Bruno 1600 – 2000  Testimone dell’Infinito, Alino Editrice, Perugia, 2004, p. 105):

Bruno in aperto contrasto con Platone, sostiene che all’uomo è possibile “ascendere” progressivamente dall’ombra interiore all’idea da cui “promana”, attraverso l’attività fantastica che agente di memoria, nell’atto di superare i limiti della memoria umana rende sensibile ciò che non è possibi­le cogliere con i sensi. Una mediazione libera, rinforzata dalle immagini che non si prospetta in alcun modo, come strumentale ma esercizio fantastico e creativo…

Mi pare una buona osservazione che può ispirare il lavoro del Compagno.

Il primo passo deve essere conoscere per quanto possibile cosa ci sia nella cripta e farne una specie di inventario.

Può esserci anche utile il senso dell’inconscio collettivo di Jung, a patto di non limitarsi alla sua interpretazione psicologica. Del resto il simbolo di un “contenitore” primordiale e collettivo è presente agli albori della storia simbolica dell’umanità: l’arca di Noè.

Cosa c’era nell’arca?

Leggiamo nella traduzione di Mario Nordio i primi tre versetti del capitolo 7 della Genesi:

Jahweh disse a Nòach: « Entra tu e tutta la tua famiglia nell’arca, poiché ti ho veduto giusto dinanzi a me in questa generazione. Di tutto il bestiame puro prenditi sette sette, maschio e femmina, e di tutto il bestiame che non è puro un paio, maschio e femmina. Anche dei volatili del cielo sette sette, maschio e femmina; perché la razza sopravviva sulla faccia di tutta la terra.

Il senso è immediato: la propagazione della vita sulla terra. Gli animali sono imbarcati a coppie e gli uomini discenderanno dalla famiglia di Noè.

Siamo tutti figli di Noè e siamo sottoposti ai primordiali imperativi morali dei noachidi. E come noachidi, cioè uomini, abbiamo il nostro mondo interiore le cui radici simbolicamente poniamo proprio nell’arca.

L’arca è la “scatola chiusa primordiale” dell’umanità. La cripta è la nostra “scatola chiusa” personale, deposito del bello e del brutto, del buono e del cattivo, ma anche di una specie di polverina magica che può far nascere qualunque cosa, ma da utilizzare, come tutto ciò che è lì, con grande prudenza. Scendendovi riusciamo a riprendere le nostre facoltà di sviluppo (autosviluppo).

La prudenza è necessaria e indispensabile: il lavoro interiore può non solo sviare ma pure colpire e ferire se non distruggere. 

Dobbiamo saper discernere tra legittime aspirazioni messe temporaneamente o definitivamente in disparte e tendenze micidiali rifiutate e ibernate.

Se la discesa nella cripta aiuta a riprendere il cammino allora ci vien data una autonomia solida: noi scegliamo la nostra via e non siamo seguaci.

Se invece non possiamo (o vogliamo) mantenere l’indipendenza nel camminare allora vuol dire che dipendiamo da altri, l’organizzazione, il gruppo, il personaggio eminente o peggio il capopopolo. Marie-Louise von Franz (in Jung, L’uomo e i suoi simboli, Oscar Mondadori, p. 183) spiega l’ “attaccamento” (o seduzione) verso il capopopolo o l’organizzazione o qualsiasi altra cosa:

L’ombra è esposta alle influenze della collettività in misura molto più notevole di quanto non lo sia la personalità cosciente. Quando un uomo è solo, per esempio, egli avverte che tutto va relativamente bene; ma, appena gli « altri » compiono atti di carattere involutivo e primitivo, egli incomincia a credere che, se non si unisce a loro, sarà ritenuto uno sciocco. Così, egli libera impulsi che non gli sono affatto propri.

Sembra quasi la spiegazione della diffusione odierna di tante idee che paiono di corto respiro. Almeno è mio parere che l’emulazione del brutto e del “cattivo” sia una delle cause possibili di tanti atti criminali, dai sassi lanciati dai ponti sulle autostrade, alla negazione viscerale di ciò che è diverso.

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