lunedì 24 giugno 2019

La nonna Minghina


Quando penso alla Forza mi vien in mente la mia bisnonna, la nonna Minghina.

Analfabeta, non parlava l’italiano ma solo il dialetto. Quando il figlio, lo zio Rico, fuoriuscito a Parigi nel 1925, ebbe bisogno di un aiuto per la figlia neonata, lei partì.

In treno, da sola, per più di mille chilometri.

Le avevano scritto in un biglietto le varie stazioni da raggiungere e dove avrebbe dovuto cambiare il treno. Non sapendo leggere rimediava facendolo leggere alla gente e riusciva a a comprendere a gesti dove andare.

Era il 1930 o ‘31: una vera avventura per una donna sola e analfabeta.

E ce la fece.

Ecco cosa vuol dire Forza.

Quando ascolto il Maestro Venerabile battere il maglietto e ripetere: I lavori riprendono forza e vigore penso sempre a lei.

venerdì 21 giugno 2019

Bellezza delicata

Penso alla Bellezza.

Mi viene in mente quando da piccolo accompagnavo la nonna al cimitero dal nonno, vittima di un bombardamento aereo qualche anno prima che nascessi.

Sulla sua tomba, all’anniversario della morte, c’era sempre un vasino fiorito. E la nonna, visibilmente irritata, lo gettava tra i rifiuti mormorando qualcosa che da grande ho immaginato fossero parolacce.

Capii da grande che quel vasino era messo da una signora con la quale il nonno ebbe, come si dice oggi, una “storia”. Evidentemente per lei una cosa importante se un vasino fiorito compariva puntualmente ad ogni anniversario per più di vent’anni dopo la sua morte.

Immaginai, quando il vasino non comparve più, che anche lei fosso morta oppure ormai tra le nebbie dell’autunno.

Ecco un gesto di Bellezza. La immagino furtivamente posare il vaso e allontanarsi subito: un gesto materialmente inutile, ma spiritualmente profondo, che “abbellisce” la vita.

sabato 15 giugno 2019

Il Maestro

Il Compagno di Mestiere è stato elevato Maestro.

E' stata completata una tappa del cammino iniziato quando, semplice Candidato, bussò alla porta del Tempio.

E' quindi un "piccolo" punto di arrivo; ma allo stesso tempo è un "grande" punto di partenza.

E' il punto di partenza.

Sono tre i simboli peculiari del percorso massonico, quelli che mostrano il senso più importante del cammino muratorio, che in ultima analisi è il cammino dell'uomo.

Tre simboli, tre incitazioni al lavoro. Tre spunti caratterizzanti.
La spada del Copritore in primo grado. La scala curva in secondo grado. Lo scavalcamento della bara in terzo grado.

La spada del Copritore va dritta alla meta, non devia e raggiunge ciò che deve raggiungere.

La scala curva del Compagno obbliga a cambiare continuamente la visuale e guardare il mondo sempre in altro modo.

Il primo fa pensare alla Forza e il secondo alla Bellezza.

La Saggezza si acquisisce scavalcando la bara.

Sapienza è capire che la bara è la mia e lì dentro ci sono proprio io.



giovedì 13 giugno 2019

La Bellezza del Mito

Spesso il mito è considerato come storia più o meno edificante, storia non più sacra di una religione superata da altre. In realtà il mito è racconto che continua a trasmettere certi valori: Antigone che disobbedisce agli ordini del re e seppellisce i cadaveri dei suoi fratelli che erano andati contro lo stato ribadisce il primato della legge divina e della coscienza contro le leggi dello stato. Il dilemma, presente fin dagli albori dell’umanità, è attuale in qualunque stato e in qualunque religione.

Il patriarca Noè parla ad ebrei e non ebrei perché rappresenta l’uomo che stabilisce un patto con il Signore, patto tanto solido da essere scritto in cielo con l’arcobaleno. Noè è il contraente prima che l’uomo si suddivida in popoli, religioni e costumi differenti: è lo zigote dell’umanità prima della suddivisione.

Il mito trasmette contenuti descritti con la veste di una certa tradizione.

Quando si fa rivivere al nuovo Maestro la leggenda di Hiram, da una parte trasmettiamo una poesia sull’uomo fedele ai propri principi; dall’altra continuiamo il grande sogno del massone che deve vedere in Hiram il punto di unione dell’intero popolo muratorio.

I massoni costruiscono il tempio non un tempio.

mercoledì 12 giugno 2019

Il sogno del Massone

Un Compagno bussa alla porta del Tempio.

I Maestri accettano che entri, secondo le antiche regole.

Il Compagno è sottoposto alla prova tremenda: scavalcare la bara di Hiram. Solo così potrà diventare Maestro, solo se dalle viscere della terra potrà "rialzarsi", elevarsi di nuovo.

Ora il Compagno è in piedi e i Maestri esultano: la Parola è stata ritrovata.

Il Compagno è diventato Maestro?

Noi non lo sappiamo; non lo sa nemmeno lui. Il Compagno saprà se è diventato Maestro quando dovrà scavalcare non un simulacro, ma una bara vera: la "sua" bara nella quale giace il "suo" corpo.
Se saprà scavalcare quella bara senza tremare allora sì che diventerà Maestro, e Maestro vero ed effettivo.

Ecco la prova che ci attende e ci consacrerà Maestri. A quel tempo e non prima. Davanti alla nostra bara.

E allora?

Hiram è il grande "sogno" del Massone, il sogno che tutti noi vogliamo sognare. Il sogno della vita.

Molti intendono i sogni come fantasticherie, e spesso è vero. Quante volte a scuola dissero: ha la testa nel mondo dei sogni, è perso nei suoi sogni,...

Quante volte dissero per esempio ad un Cristoforo Colombo di non sognare, che la terra era molto più grande di quanto pensasse, che non ce l'avrebbe mai fatta a giungere in Oriente passando da Occidente, era un percorso troppo lungo, sarebbe perito...
Ed avevano ragione.

Ma Colombo aveva un sogno, il sogno della sua vita. Partì, e giunse in America.

Così Hiram deve diventare il sogno della nostra vita.

Al Fratello non più compagno dico: ora abbiamo un sogno in comune!






venerdì 29 marzo 2019

Lettera a Ulisse

L' Epica è narrazione della vita di eroi e delle loro gesta: avventure caratterizzanti i personaggi, atti fondativi.

Ai miei tempi l’epica era materia scolastica: alla scuola media si leggeva in seconda l’Iliade e in terza l’Odissea, e in prima liceo l’Eneide, che poi sarebbe stata ripresa in quinta leggendone diversi canti in latino.

Ulisse ed Enea venivano quindi quasi presentati come paradigmi per l’uomo moderno perché avevano ancora molto da dire.

A me invece Enea non dice molto, l’ho sempre sentito freddo, tutto concentrato sulla sua missione fondatrice della civiltà romana (Virgilio è il cantore della Roma augustea all’apogeo dello splendore) che non mi ha mai colpito nel profondo. Fin dai tempi della scuola e pure in una lettura attenta di alcuni anni fa non sono rimasto colpito più di tanto. Enea non mi parla nemmeno oggi, mentre continua a parlarmi Ulisse.

Ulisse è invece stato compagno della mia vita, certo colpito dai versi danteschi che sento irrimediabilmente scolpiti in me.

Sento Ulisse come l'eroe moderno, non legato dalle ideologie contingenti. Ulisse fu cantato da Omero e fu ripreso da Dante; Ulisse fu cantato da Tennison e Pascoli e rimane grande eroe moderno del quotidiano in Joyce. 

Non mi stupirei che Ulisse bussasse alla porta del Tempio e sarei prointo ad aprirgli.

Ma prima ci sono alcune cose da puntualizzare. E ad Ulisse voglio appunto scrivere.

* * *
 
Caro Ulisse,
hai bussato bussato alla porta del Tempio chiedendoci di aprirti.

Lessi da qualche parte che c’è un Ulisse in tutti noi, ed è vero.

Tu sei il ricercatore instancabile, colui che vuole conoscere il mondo per soddisfare la propria ansia di sapere. Ti sento vicino perché la tua ansia di sapere è la mia stessa ansia.

Sono con te legato all’albero della nave ad ascoltare in sicurezza le sirene: non avrei mai potuto restare tra il tuo equipaggio con le orecchie tappate.

Ti immagino uomo in cammino e ti vedo vicino ad ogni caminante.

Ti immagino a bordo dell’arca di Noè nel viaggio primordiale dell’umanità.
So che fosti con Cristoforo Colombo e con Marco Polo; eri imbarcato sul sommergibile Nautilus del comandante Nemo. Ti ho visto a fianco di Neil Armstrong sulla Luna.Stai allenandoti per partecipare alla spedizione su Marte come più di un secolo fa eri sulle slitte che cercavano il Polo Sud.

Ma attento, Ulisse!

Eri anche con Cortez e Pizarro, distruttori di civiltà; eri con i crociati alla devastazione di Costantinopoli e di Gerusalemme; eri con Gengis Kan alla conquista di Samarcanda.

Io ti vedo bene anche in Loggia, caro Ulisse, tra i fratelli massoni: noi cerchiamo, come tu cerchi. E son certo che il tuo posto è qui, tra le colonne.

Molti fratelli di Loggia concordano con me: siamo pronti ad abbracciarti e a lavorare assieme.
 
Ma dobbiamo fissare alcuni paletti, lanmark della nostra umanità.

Noi cerchiamo, ma non siamo disposti a cercare sempre e ovunque, a qualsiasi costo.

Noi non eravamo a fianco del dottor Mengele che faceva esperimenti bestiali su poveretti inermi; chi di noi era ad Auschwitz era tra i derelitti massacrati non tra gli aguzzini.

Noi non eravamo nella carlinga di morte  con le ali maligne... dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. Non ci interessa sapere quelle tecniche e quelle conoscenze di uccisioni e stermini.

No, non siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo per sapere e conoscere: qualcuno forse sì, noi certamente no.

Noi crediamo che ci siano cammini che non debbono essere percorsi e limiti che non debbano essere scavalcati
 
Perché? – ci puoi chiedere.
Perché no – rispondiamo.

Non siamo disposti a procedere sempre e comunque.

Siamo convinti, caro Ulisse, che l’uomo in cammino debba avere alcuni paletti oltre i quali non sia possibile andare; siamo convinti che siano questi paletti a rendere uomo l’uomo, sappiamo che Auschwitz è oltre i paletti e madre Teresa di Calcutta no.

Siamo convinti che la Forza della conoscenza debba essere adornata dalla Bellezza del nostro senso etico.

Ulisse noi Massoni ti accogliamo e ti riceviamo in Loggia, ma tu devi prestare il nostro giuramento di avere sacri la vita e l’onore di tutti.

Se sarà così insieme cammineremo.

Altrimenti, caro Ulisse, avrai come compagno non il buon dottor Jekill ma l’oscuro mister Hyde.

E non avrai compagni i Massoni di questa Loggia

martedì 26 marzo 2019

La Cripta - Ombra

Il mio mare magnum, la mia Ombra-Cripta, è in me e io la “sento”. 

Ne apprezzo la parte immaginativa che vi rinchiusi ai miei primi passi e che negli ultimi anni, grazie al lavoro in Loggia ho cercato di “prelevare”.

Proprio in Loggia, lavorando assieme agli altri Fratelli, riflettendo sul lavoro di tutti e sul loro lavoro in particolare, ho trovato appigli interiori che mi hanno permesso di camminare.

Prendere le distanze dai mostri del mio mare e “riconquistare” il resto, mangiare l’ombra per usare una felice espressione di Robert Bly. (Il piccolo libro dell'ombra, Ediz. Red)

Mangiare è termine più completo di riappropriarsi. Fa venir in mente il prendere una piccola parte, sminuzzarle e tritarla, impastarla e farne un piccolo bolo, inghiottirla, scomporla in parti più semplici, assimilarla, assorbirla e digerirla, ed infine espellere il non riassorbibile.

Preferisco il termine cripta a quello di ombra perché mi pare descrivere meglio il mio “altro”, non solo il negativo.

Leggo in una celebrazione di Giordano Bruno ( Giordano Bruno 1600 – 2000  Testimone dell’Infinito, Alino Editrice, Perugia, 2004, p. 105):

Bruno in aperto contrasto con Platone, sostiene che all’uomo è possibile “ascendere” progressivamente dall’ombra interiore all’idea da cui “promana”, attraverso l’attività fantastica che agente di memoria, nell’atto di superare i limiti della memoria umana rende sensibile ciò che non è possibi­le cogliere con i sensi. Una mediazione libera, rinforzata dalle immagini che non si prospetta in alcun modo, come strumentale ma esercizio fantastico e creativo…

Mi pare una buona osservazione che può ispirare il lavoro del Compagno.

Il primo passo deve essere conoscere per quanto possibile cosa ci sia nella cripta e farne una specie di inventario.

Può esserci anche utile il senso dell’inconscio collettivo di Jung, a patto di non limitarsi alla sua interpretazione psicologica. Del resto il simbolo di un “contenitore” primordiale e collettivo è presente agli albori della storia simbolica dell’umanità: l’arca di Noè.

Cosa c’era nell’arca?

Leggiamo nella traduzione di Mario Nordio i primi tre versetti del capitolo 7 della Genesi:

Jahweh disse a Nòach: « Entra tu e tutta la tua famiglia nell’arca, poiché ti ho veduto giusto dinanzi a me in questa generazione. Di tutto il bestiame puro prenditi sette sette, maschio e femmina, e di tutto il bestiame che non è puro un paio, maschio e femmina. Anche dei volatili del cielo sette sette, maschio e femmina; perché la razza sopravviva sulla faccia di tutta la terra.

Il senso è immediato: la propagazione della vita sulla terra. Gli animali sono imbarcati a coppie e gli uomini discenderanno dalla famiglia di Noè.

Siamo tutti figli di Noè e siamo sottoposti ai primordiali imperativi morali dei noachidi. E come noachidi, cioè uomini, abbiamo il nostro mondo interiore le cui radici simbolicamente poniamo proprio nell’arca.

L’arca è la “scatola chiusa primordiale” dell’umanità. La cripta è la nostra “scatola chiusa” personale, deposito del bello e del brutto, del buono e del cattivo, ma anche di una specie di polverina magica che può far nascere qualunque cosa, ma da utilizzare, come tutto ciò che è lì, con grande prudenza. Scendendovi riusciamo a riprendere le nostre facoltà di sviluppo (autosviluppo).

La prudenza è necessaria e indispensabile: il lavoro interiore può non solo sviare ma pure colpire e ferire se non distruggere. 

Dobbiamo saper discernere tra legittime aspirazioni messe temporaneamente o definitivamente in disparte e tendenze micidiali rifiutate e ibernate.

Se la discesa nella cripta aiuta a riprendere il cammino allora ci vien data una autonomia solida: noi scegliamo la nostra via e non siamo seguaci.

Se invece non possiamo (o vogliamo) mantenere l’indipendenza nel camminare allora vuol dire che dipendiamo da altri, l’organizzazione, il gruppo, il personaggio eminente o peggio il capopopolo. Marie-Louise von Franz (in Jung, L’uomo e i suoi simboli, Oscar Mondadori, p. 183) spiega l’ “attaccamento” (o seduzione) verso il capopopolo o l’organizzazione o qualsiasi altra cosa:

L’ombra è esposta alle influenze della collettività in misura molto più notevole di quanto non lo sia la personalità cosciente. Quando un uomo è solo, per esempio, egli avverte che tutto va relativamente bene; ma, appena gli « altri » compiono atti di carattere involutivo e primitivo, egli incomincia a credere che, se non si unisce a loro, sarà ritenuto uno sciocco. Così, egli libera impulsi che non gli sono affatto propri.

Sembra quasi la spiegazione della diffusione odierna di tante idee che paiono di corto respiro. Almeno è mio parere che l’emulazione del brutto e del “cattivo” sia una delle cause possibili di tanti atti criminali, dai sassi lanciati dai ponti sulle autostrade, alla negazione viscerale di ciò che è diverso.