lunedì 5 novembre 2018

Pellegrinaggio in Oriente 8

Era una situazione paradossale. Immaginiamo la scena. Da una parte un tranquillo personaggio, che pareva emanare calma e serenità da tutti i pori, in comunione e armonia con il mondo circostante, amico degli animali (non ci saremmo stupiti se il romanziere lo lo avesse addirittura fatto parlare con qualche uccello come san Francesco). Dall’altra un tipo esagitato, sorpreso, affannato, talmente sicuro di aver trovato ciò che cercava da tempo da rimanere senza argomenti di fronte alle sue aspettative frustrate. Eppure pareva sicuro: quella persona era Leo, ne era certo, certissimo. Non ne comprendeva il comportamento ma “sapeva” di aver trovato il Leo che cercava da tanto tempo. Purtroppo quel Leo pareva in vibrante comunione con quel che gli era intorno, conoscesse tutti, fosse da tutti conosciuto e amato, mentre soltanto verso di me, che così profondamente lo amavo e tanto bisogno avevo di lui, non lo conducesse alcuna via. (63). Purtroppo quel Leo gli appariva molto lontano. Purtroppo quel Leo pareva fosse da tutti conosciuto e amato, mentre soltanto verso di me, che così profondamente lo amavo e tanto bisogno avevo di lui. (63)

Anche il lettore rimane sconcertato dal comportamento di Leo. E gli sorge un dubbio: la labile traccia, la serie inutile degli appostamenti del narratore in quella via, poi il motivetto fischiato e infine la persona che finalmente esce di casa per una passeggiata... o per farsi seguire, per dare all’altro la possibilità di un incontro? Era proprio casuale quell’incontro? Oppure era stato preparato. Insomma il narratore ha incontrato Leo o Leo si è fatto incontrare?
Sembravano due mondi troppo distanti per il minimo contatto che non fosse un fugace cenno di cortese saluto. E infatti i due dimostravano (almeno a prima vista) tutta la loro estraneità. E la gentilezza di Leo apparve così fredda ( Sono ben disposto a passeggiare così tutta la notte, non mi mancano né il tempo né la voglia, sempre che non sia troppo per lei – 64) da allontanarsi immediatamente al primo cenno di improvvisa stanchezza dell’altro lasciandolo sui due piedi tutto incerto: Egli scomparve rapidamente nella notte nera e io rimasi solo, allocchito, sconcertato: avevo perduto la partita. Egli non mi conosceva, non voleva conoscermi, si faceva beffe di me. Ritornai sui miei passi, il cane Necker abbaiava furioso dietro la cancellata. Nella calda umidità della notte estiva gelavo dalla stanchezza, dalla malinconia e dalla solitudine. (64)

Il narratore è certo deluso: quel Leo era tanto affabile con i cani ma così poco con lui. Certo, educato e cortese, si era intrattenuto con uno sconosciuto che pareva tutto fuorché equilibrato, ma null’altro. Nulla soprattutto che facesse pensare a lui come a partecipante a quella straordinaria impresa di tanti anni prima!

Si sentì addosso tutta la stanchezza di una ricerca alla quale aveva forse dato troppa importanza. Si sentì depresso e disperato, come se la vita all’improvviso avesse perso il suo senso. In un certo senso quell’ultimo episodio gli faceva quasi “concentrare” le delusioni e le speranze svanite, gli avvilimenti, gli abbattimenti, gli scoraggiamenti in un unico viaggio ad infera che fa dubitare di tutto e di tutti: Era il “suo” Leo? Aveva senso scrivere una storia del pellegrinaggio? L’abbandono del viaggio fu un grande errore? Aver abbandonato la Lega fu uno sbaglio?

Era solo, senza più fiducia in se stesso. Nessuno poteva aiutarlo.
Rientrò a casa, ma non trovò pace. E scrisse una lettera a Leo. Scrissi dieci, dodici, venti pagine di lamenti, di contrizione, di umile preghiera a Leo. Gli descrissi la mia misera condizione, evocai per lui le immagini delle comuni esperienze, le figure dei comuni amici di allora, gli esposi le immense, diaboliche difficoltà, contro le quali stava naufragando la mia nobile impresa. Non sentivo più la stanchezza del momento, scrivevo con grande ardore. Nonostante tutte le difficoltà, scrissi, avrei preferito subire il peggio anziché tradire uno solo dei segreti della Lega, e a onta di tutto avrei cercato di portare a termine la mia opera per ricordare il pellegrinaggio in Oriente ed esaltare la Lega. Come scosso dalla febbre empii una pagina dopo l’altra di parole frettolose, senza riflessione, senza alcuna fede. (66)

Scrisse, uscì ad imbucare nella più vicina cassetta postale, rientrò e all’alba finalmente si addormentò. Dormii pesantemente a lungo. (67)

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