Era una situazione
paradossale. Immaginiamo la scena. Da una parte un tranquillo
personaggio, che pareva emanare calma e serenità da tutti i pori, in
comunione e armonia con il mondo circostante, amico degli animali
(non ci saremmo stupiti se il romanziere lo lo avesse addirittura
fatto parlare con qualche uccello come san Francesco). Dall’altra
un tipo esagitato, sorpreso, affannato, talmente sicuro di aver
trovato ciò che cercava da tempo da rimanere senza argomenti di
fronte alle sue aspettative frustrate. Eppure pareva sicuro: quella
persona era Leo, ne era certo, certissimo. Non ne comprendeva il
comportamento ma “sapeva” di aver trovato il Leo che cercava da
tanto tempo. Purtroppo quel Leo pareva in vibrante comunione con
quel che gli era intorno, conoscesse tutti, fosse da tutti conosciuto
e amato, mentre soltanto verso di me, che così profondamente lo
amavo e tanto bisogno avevo di lui, non lo conducesse alcuna via.
(63). Purtroppo quel Leo gli appariva molto lontano. Purtroppo quel
Leo pareva fosse da tutti conosciuto e amato, mentre soltanto
verso di me, che così profondamente lo amavo e tanto bisogno avevo
di lui. (63)
Anche il lettore
rimane sconcertato dal comportamento di Leo. E gli sorge un dubbio:
la labile traccia, la serie inutile degli appostamenti del narratore
in quella via, poi il motivetto fischiato e infine la persona che
finalmente esce di casa per una passeggiata... o per farsi seguire,
per dare all’altro la possibilità di un incontro? Era proprio
casuale quell’incontro? Oppure era stato preparato. Insomma il
narratore ha incontrato Leo o Leo si è fatto incontrare?
Sembravano due
mondi troppo distanti per il minimo contatto che non fosse un fugace
cenno di cortese saluto. E infatti i due dimostravano (almeno a prima
vista) tutta la loro estraneità. E la gentilezza di Leo apparve così
fredda ( Sono ben disposto a passeggiare così tutta la notte, non
mi mancano né il tempo né la voglia, sempre che non sia troppo per
lei – 64) da allontanarsi immediatamente al primo cenno di
improvvisa stanchezza dell’altro lasciandolo sui due piedi tutto
incerto: Egli scomparve rapidamente nella notte nera e io rimasi
solo, allocchito, sconcertato: avevo perduto la partita. Egli non mi
conosceva, non voleva conoscermi, si faceva beffe di me. Ritornai sui
miei passi, il cane Necker abbaiava furioso dietro la cancellata.
Nella calda umidità della notte estiva gelavo dalla stanchezza,
dalla malinconia e dalla solitudine. (64)
Il narratore è
certo deluso: quel Leo era tanto affabile con i cani ma così poco
con lui. Certo, educato e cortese, si era intrattenuto con uno
sconosciuto che pareva tutto fuorché equilibrato, ma null’altro.
Nulla soprattutto che facesse pensare a lui come a partecipante a
quella straordinaria impresa di tanti anni prima!
Si sentì addosso
tutta la stanchezza di una ricerca alla quale aveva forse dato troppa
importanza. Si sentì depresso e disperato, come se la vita
all’improvviso avesse perso il suo senso. In un certo senso
quell’ultimo episodio gli faceva quasi “concentrare” le
delusioni e le speranze svanite, gli avvilimenti, gli abbattimenti,
gli scoraggiamenti in un unico viaggio ad infera che fa
dubitare di tutto e di tutti: Era il “suo” Leo? Aveva senso
scrivere una storia del pellegrinaggio? L’abbandono del viaggio fu
un grande errore? Aver abbandonato la Lega fu uno sbaglio?
Era solo, senza più
fiducia in se stesso. Nessuno poteva aiutarlo.
Rientrò a casa, ma
non trovò pace. E scrisse una lettera a Leo. Scrissi dieci,
dodici, venti pagine di lamenti, di contrizione, di umile preghiera a
Leo. Gli descrissi la mia misera condizione, evocai per lui le
immagini delle comuni esperienze, le figure dei comuni amici di
allora, gli esposi le immense, diaboliche difficoltà, contro le
quali stava naufragando la mia nobile impresa. Non sentivo più la
stanchezza del momento, scrivevo con grande ardore. Nonostante tutte
le difficoltà, scrissi, avrei preferito subire il peggio anziché
tradire uno solo dei segreti della Lega, e a onta di tutto avrei
cercato di portare a termine la mia opera per ricordare il
pellegrinaggio in Oriente ed esaltare la Lega. Come scosso dalla
febbre empii una pagina dopo l’altra di parole frettolose, senza
riflessione, senza alcuna fede. (66)
Scrisse, uscì ad
imbucare nella più vicina cassetta postale, rientrò e all’alba
finalmente si addormentò. Dormii pesantemente a lungo. (67)
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