Leo scomparve nella
pericolosa gola di Morbio Inferiore (35).
Come? Perché?
Il narratore
osservò: Solo molto più tardi incominciai a intuire (...) le
vere circostanze e i più profondi nessi della scomparsa di Leo
che non fu affatto un caso, bensì un anello in quella catena di
persecuzioni con le quali il grande Nemico cercava di far fallire la
nostra impresa. (35)
Sempre quando le
cose non funzionano pensiamo ad un nemico esterno: i guai capitano –
diciamo – perché qualcuno ce li fa capitare. Ed è molto
rassicurante per noi. Ma la realtà è più semplice (e allo stesso
tempo, per noi, più complessa): il grande Nemico spesso non esiste e
le difficoltà nascono dal nostro comportamento. Il grande Nemico
siamo noi.
La scomparsa di Leo
venne subito caricata di un senso profondo e scoraggiante. Era
anche l'inizio di una battaglia... Aumentava un senso di sconfitta e
di inutilità... Pareva che quanto più la sua perdita diventava
certezza, tanto più egli ci fosse indispensabile. (36)
Insomma ci
pareva che l'impresa stessa perdesse misteriosamente di valore.
(36)
In poche ore
l’atmosfera cambiò. Le conseguenze, si indovina fin da ora,
saranno funeste.
Non era solo la
mancanza di una persona, diventata cara – osserverebbe un maligno –
solo dopo la sua scomparsa, ma anche della perdita di alcuni oggetti
importanti. Ora l’uno, ora l’altro di noi notò la mancanza di
qualche cosa importante, indispensabile, nel proprio bagaglio, e
nulla di ciò venne trovato. (38). Tutto era nel sacco di Leo?
Quegli oggetti erano veramente così importanti?
La scomparsa del
servitore parve catalizzare una crisi latente e tutto venne rimesso
in discussione. Dovettero, gli una volta entusiasti viaggiatori,
prenderne atto: ciò che pareva mancare in realtà non mancava o era
irrilevante, ma ciò che era importante in realtà non c’era più.
I viaggiatori erano
disorientati, in preda ai dubbi distruttivi. Certo non erano uniti.
Ma lo erano mai stati o lo erano solo parsi? Molte avversità
separano ciò che pareva unito. Ciò che resta unito dopo le
avversità, allora sì che è veramente unito, e lo è profondamente.
E se fosse stato proprio questo l’intento del viaggio: unire ciò
che era sparso? Unire ciò che sembrava unito ma non lo era?
Che fine fece Leo?
Incidente? Agguato mortale? Allontanamento volontario?
La scomparsa del
servitore Leo fu dunque un “punto fermo” del viaggio o di quel
che ne restava.
Il ricordo del
narratore andò all’accampamento dove si fecero quelle prime
discussioni, vedo cadere qua e là, tra le facce insolitamente serie,
le foglie gialle d’autunno, vedo l’una fermarsi su un ginocchio,
l’altra posarsi su un cappello. (41)
Significative le
foglie d’autunno! Nel racconto non era solo l’autunno
astronomico, ma pareva quasi il segno del tramonto sulla grande
esperienza. O grande illusione?
Cadono le foglie,
arriva l’inverno. La natura si addormenta e sospende i suoi lavori
solo per iniziare a primavera un nuovo ciclo. Ma quei viaggiatori
tristi, che non vedevano futuro nell’impresa, non sembravano consci
dei cicli: in cuor loro vedevano irrimediabilmente compromesso il
viaggio e forse già cominciavano a pensare a disimpegnarsi.
Oppure... Se invece
fosse stato l’inizio di un nuovo modo di viaggiare se solo avesero
affrontato il problema da una visuale diversa?
Qualcosa
effettivamente scomparve: un documento inestimabile e addirittura
fondamentale e indispensabile era perduto davvero e per sempre.
(39). Che cosa fosse il documento il narratore non dice o non sa,
avanzandone invece le ipotesi più varie sulla natura e dove avrebbe
potuto o non potuto essere.
Documento sparito
con Leo? Nessuno lo poteva affermare con certezza. Ma da quel
momento insomma non ci furono più concordia e sicurezza nella nostra
Lega, benché la grande idea ci tenesse ancora uniti. (41)
Era stato colpito
proprio il senso dell’essere lì: mancando armonia e concordia di
intenti la grande idea del viaggio venne minata alla base.
Il narratore ora
voleva raccontare l’esperienza vissuta anche per tramandarne il
ricordo. Infatti gli avvenimenti dimenticati è come non fossero mai
successi.
Il ricordo è
strettamente collegato alla memoria. Ma raccontare basandosi solo
sulla (propria) memoria è narrazione deformata. Come raccontare? E
cosa? E... soprattutto... è possibile raccontare?
Infatti
senza aver, si può dire, raccontato ancora nulla, mi sono
arenato in un solo piccolo episodio al quale da principio non avevo
neanche pensato, mi sono incagliato nella scomparsa di Leo e, invece
di un tessuto, mi trovo in mano un fascio di mille fili aggrovigliati
che cento mani impiegherebbero anni a sciogliere e sbrogliare, anche
se i singoli fili, non appena si afferrino e si cominci leggermente a
tirare, non fossero così tenui e non ti si spezzassero fra le dita.
(43)
La memoria fa
esattamente questo: non riporta il tessuto, ma un groviglio di fili,
una specie di piatto di spaghetti dove il singolo spaghetto si perde
in una matassa inestricabile. Puoi seguirne uno, ma solo per un poco.
Qualche avvenimento sta in uno spaghetto (e lì son tutti ordinati
cronologicamente) e altri eventi in un altro e altri in un altro
ancora, ormai cronologicamente confrontabili solo quelli sullo stesso
spaghetto e non quelli su spaghetti diversi. Non ce ne rendiamo
conto, ma la memoria frantuma l’ordine cronologico, proprio quello
che dovrebbe essere alla base di una cronaca fedele del passato. E
non solo...
Dov'è il centro degli eventi, il
nucleo comune, il punto a cui [gli
eventi] si riferiscono e in cui si congiungono?
(43). Infatti la memoria non aiutò il narratore. Non ricordava,
ammesso che il narratore l’avesse compreso, il “centro degli
avvenimenti”, la trama comune che ordina tutto e attribuisce agli
avvenimenti il senso di ciò che è successo.
Ricordare infatti
non è riportare alla mente gli avvenimenti come accaddero, ma
riprendere la nostra immagine (i ricordi, appunto) di quegli
avvenimenti: non l’ordito dei fatti ma solo ciò che noi oggi
rammentiamo: Non c'è un’unità, un centro, un punto intorno al
quale la ruota possa girare. (43)
Il narratore si era
perso nei meandri della sua memoria: Tutto mi diventa una massa di
immagini frantumate che si sono rispecchiate in qualche cosa, e
questo qualche cosa è il mio io. (44)
Dunque, è l’io
il centro? No: Questo io, questo specchio, non appena io lo voglia
interrogare, non è che un nulla, il pelo di una superficie di vetro.
(44)
Il fantomatico
centro... Ma è mai esistito?... Non so... non ricordo...
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