mercoledì 30 novembre 2016

Il Silenzio

Una tavola di trent'anni fa. Mio padre la presentò alla quarta camera del Risto Scozzese, quando ancora faceva parte di quel Rito.


La saggezza ideale è il silenzio. Così dice Ermete Trismegisto nel Pimandro. E nell’Apocalisse (10.4) Giovanni raccomanda di sigillare quanto hanno proferito i sette tuoni, e di non scriverlo.

Sembra, specie considerando Giovanni, che ciò che si conquista e si realizza nell’ambito delle scienze sacre e dei misteri debba essere difeso gelosamente e conservato nel silenzio. Ed infatti questo qualcosa è un quid strettamente personale, raggiunto attraverso processi intuitivi molto personali con costante applicazione.

E’ umanamente impossibile avere la capacità di riferire questo ad altri. Tutt’al più con una opportuna ri-velazione, non sempre facile, non sempre opportuna, chi ascolta può ricevere e ricavare eventuali stimoli che potranno essere più o meno utilizzati poi, ma, probabilmente, in maniera del tutto diversa.

Nella tradizionale comunicazione “da bocca a orecchio” il maestro comunica i misteri al suo allievo, nel momento in cui lo ritiene opportuno, e nel modo più appropriato”. Il discepolo, stimolato da ciò che gli è stato detto in modo molto oscuro, potrà successivamente con le sue personali elaborazioni interiori conquistarsi progressivamente le proprie conoscenze. La sua conquista, come tutte le conquiste in questo campo, è specialmente in principio strettamente legata alla sua formazione culturale, al particolare metodo seguito ed a quanto ha già realizzato in precedenza. Per questo non è possibile comunicare ad altri ciò che si viene man mano realizzando. Non ci sono parole umane che possano comunicarlo, anche parzialmente. Come minimo si corre il rischio di essere fraintesi; ma spesso si forniscono pericolose indicazione incomplete, forse errate, quasi sempre fuorvianti.
Il proprio processo iniziatico di trasmutazione si compie soltanto ed esclusivamente col proprio lavoro. E’ una conquista faticosa; appunto per questo è proficua. Nulla può essere regalato. Solo l’esempio silenzioso può eventualmente essere utile a chi è capace di mettersi silenziosamente in sintonia. Di qui l’importanza delle catene iniziatiche.

Saper stare in silenzio è anche saper ascoltare, ascoltare prima di tutto la propria interiorità. Nell’attivo silenzio l’uomo si rende disponibile a quella debole, ma potente luce che è in ciascun essere umano.

Saper tacere è anche riconoscere implicitamente i propri limiti. L’umiltà è il principio della sapienza.

Se si vuole creare in se stessi bisogna essere capaci di sapersi rifugiare nel silenzio, come in un mantello protettivo. Il silenzio in tal caso diventa il guscio del proprio uovo filosofico.

L’immergersi nel silenzio è anche un metodo per riconsiderare criticamente, di tanto in tanto, il proprio cammino, accettando di apprendere di nuovo, anche se si presupponeva di sapere già a sufficienza. E nel silenzio parla il maestro, l’unico, vero maestro: il maestro interiore. Egli parla, insegna, istruisce. E le forze interiori possono affinarsi e concentrarsi, comprimendosi, nel centro interiore dell’uomo. Ed il silenzio le sviluppa, le rafforza, facendo sbocciare l’energia espansiva, molla per la dilatazione della coscienza. E’ un processo interiore non traducibile in parole umane, e che ha fatte dire a Rousselle nella “Introduzione al Mistero della Trasformazione” che i maestri del culto dicono ciò che non sanno; il vero maestro invece non sa dire ciò che sa.



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