Una tavola di trent'anni fa. Mio padre la presentò alla quarta camera del Risto Scozzese, quando ancora faceva parte di quel Rito.
La saggezza ideale è il silenzio. Così dice Ermete Trismegisto
nel Pimandro. E nell’Apocalisse (10.4) Giovanni raccomanda
di sigillare quanto hanno proferito i sette tuoni, e di non
scriverlo.
Sembra, specie considerando Giovanni, che ciò che si conquista e
si realizza nell’ambito delle scienze sacre e dei misteri debba
essere difeso gelosamente e conservato nel silenzio. Ed infatti
questo qualcosa è un quid strettamente personale, raggiunto
attraverso processi intuitivi molto personali con costante
applicazione.
E’ umanamente impossibile avere la capacità di riferire questo
ad altri. Tutt’al più con una opportuna ri-velazione, non sempre
facile, non sempre opportuna, chi ascolta può ricevere e ricavare
eventuali stimoli che potranno essere più o meno utilizzati poi, ma,
probabilmente, in maniera del tutto diversa.
Nella tradizionale comunicazione “da bocca a orecchio” il
maestro comunica i misteri al suo allievo, nel momento in cui lo
ritiene opportuno, e nel modo più appropriato”. Il discepolo,
stimolato da ciò che gli è stato detto in modo molto oscuro, potrà
successivamente con le sue personali elaborazioni interiori
conquistarsi progressivamente le proprie conoscenze. La sua
conquista, come tutte le conquiste in questo campo, è specialmente
in principio strettamente legata alla sua formazione culturale, al
particolare metodo seguito ed a quanto ha già realizzato in
precedenza. Per questo non è possibile comunicare ad altri ciò che
si viene man mano realizzando. Non ci sono parole umane che possano
comunicarlo, anche parzialmente. Come minimo si corre il rischio di
essere fraintesi; ma spesso si forniscono pericolose indicazione
incomplete, forse errate, quasi sempre fuorvianti.
Il proprio processo iniziatico di trasmutazione si compie soltanto
ed esclusivamente col proprio lavoro. E’ una conquista faticosa;
appunto per questo è proficua. Nulla può essere regalato. Solo
l’esempio silenzioso può eventualmente essere utile a chi è
capace di mettersi silenziosamente in sintonia. Di qui l’importanza
delle catene iniziatiche.
Saper stare in silenzio è anche saper ascoltare, ascoltare prima
di tutto la propria interiorità. Nell’attivo silenzio l’uomo si
rende disponibile a quella debole, ma potente luce che è in ciascun
essere umano.
Saper tacere è anche riconoscere implicitamente i propri limiti.
L’umiltà è il principio della sapienza.
Se si vuole creare in se stessi bisogna essere capaci di sapersi
rifugiare nel silenzio, come in un mantello protettivo. Il silenzio
in tal caso diventa il guscio del proprio uovo filosofico.
L’immergersi nel silenzio è anche un metodo per riconsiderare
criticamente, di tanto in tanto, il proprio cammino, accettando di
apprendere di nuovo, anche se si presupponeva di sapere già a
sufficienza. E nel silenzio parla il maestro, l’unico, vero
maestro: il maestro interiore. Egli parla, insegna, istruisce. E le
forze interiori possono affinarsi e concentrarsi, comprimendosi, nel
centro interiore dell’uomo. Ed il silenzio le sviluppa, le
rafforza, facendo sbocciare l’energia espansiva, molla per la
dilatazione della coscienza. E’ un processo interiore non
traducibile in parole umane, e che ha fatte dire a Rousselle nella
“Introduzione al Mistero della Trasformazione” che i maestri del
culto dicono ciò che non sanno; il vero maestro invece non sa dire
ciò che sa.
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