giovedì 3 settembre 2015

GADU 1

(nel post di ieri una premessa utile)
 
Durante i lavori di Loggia non è permesso trattare politica o religione. E' un divieto variamente inteso: in tanti anni ho sentito parlare di induismo, buddhismo, ebraismo, a volte anche di cristianesimo. Credo che il divieto significhi soprattutto che ci sono problematiche che non fan parte degli scopi del lavoro di Loggia perché dividono invece di unire. Se qualcuno è in grado di parlar di religione senza dividere e altri di ascoltar di religione senza dividersi, perché no? Tutto sommato è solo indispensabile riconoscere che le vie della trascendenza sono tante, praticamente una per ogni essere umano, e probabilmente conducono "grosso modo" alla stessa meta.
Qui propongo una lettura "mia" dell' "Ultima Domanda" di Asimov che mi pare possa essere un approccio particolare (ma non improprio) alla trascendenza. Se qualcuno può sentirsi disturbato è sufficiente non continui la lettura.

La domanda

Il Vecchio Copritore era giunto per tempo alla sede della Loggia: era infatti compito suo aprire in occasione delle tornate e lui si premurava sempre di essere in anticipo. Avrebbe avuto così il tempo di parlare con i fratelli e magari approfittarne per qualche scambio di idee con qualcuno: modo leggero di porgere ai fratelli più giovani stimoli senza appesantirli di quella che è pomposamente chiamata Istruzione del Grado.

Appena aperto la sede fu raggiunto da una nostra vecchia conoscenza, Ulisse, ormai Apprendista della Loggia. Il Vecchio Copritore lo chiamava Giovane Apprendista, ma con una ironia molto affettuosa che in un certo senso abbelliva la forte stima verso un Fratello solido e desideroso di impadronirsi dei “trucchi del Mestiere”. Spesso i due si trovavano a parlare prima delle Tornate di Loggia e l’Apprendista poteva chiedere ed esporre i suoi dubbi.
Il cosiddetto Giovane Apprendista aveva infatti compreso subito che il suo interlocutore era un vecchio Fratello che provava un particolare piacere a parlare con i Fratelli meno esperti.

Quella sera il Giovane Apprendista era in preda ad un dubbio molto serio. Verteva sul divieto di intrattenersi in questioni di politica e religione; anzi proprio di religione.

Che senso aveva chiedere nel testamento quali fossero i doveri dell’uomo verso l’Essere supremo se poi non si poteva parlare mai di religione e quindi di Gadu?

Al Vecchio Copritore piaceva quell’Apprendista, sempre pronto a chiedere, a far domande mai banali. Si vedeva proprio che rifletteva e meditava. Si vedeva soprattutto che aveva intrapreso la via con serietà, non limitando le sue riflessioni al lavoro di Loggia ma pensando di continuo, giorno e notte, ...soprattutto notte.

La domanda che gli era stata posta era proprio una domandona, di quelle che agitano le acque come il drappo rosso sventolato davanti al muso del toro lo fa irritare sempre di più.

Molti massoni evitano accuratamente quelle che lui chiamava le domande “di confine”. Quelle che ti possono portare a risposte sgradevoli, che ti complicano la vita, che ti scuotono dal tran tran che ti sei costruito e che magari ti possono portare al di fuori della tranquillità del percorso tracciato (ma tracciato da chi?). Preferivano, questi Massoni, accontentarsi della quotidiana routine, molto più rassicurante, piuttosto che inoltrarsi in sentieri mai tracciati, che non sai dove portano.

Insomma la domanda verteva sul Grande Architetto. E il Vecchio Copritore avvertiva un obbligo morale di rispondere e non trincerarsi dietro l’impossibilità di rispondere, il divieto (posto da chi?) di rispondere, l’opportunità di tacere, la necessità (e perché mai?) di tacere. Forse – sgradevolmente il pensiero si affacciava alla mente del Vecchio Copritore – chi negava doversi rispondere a certe domande era semplicemente impossibilitato a rispondere perché, come diceva il suo vecchio professore di matematica, chi non risponde non conosce la risposta (e spesso non vuole ammetterlo).

E stabilito il dovere di rispondere (lui almeno lo avvertiva così) subito dopo il busillis: cosa rispondere?

Non poteva rispondere sull’esistenza di Dio. Questo sì era scorretto. I padri fondatori, grazie al cielo, avevano lasciato in eredità la mancanza di una qualsiasi teologia massonica; avevano semplicemente indicato che chiunque avrebbe dovuto “sentire” come meglio avrebbe ritenuto. Insomma, se hai fame, ti puoi far preparate un buon piatto di agnello (per restar nella tradizione cristiana), ma come cucinarlo, questo era lasciato a te. Lo potevi cucinare con il rosmarino o la menta, oppure il basilico, o la maggiorana oppure l’origano; o il dragoncello o con niente del tutto. I vari aromi erano le vie del culto, ma la fame di trascendenza, di agnello, era comune a tutti gli uomini. Ecco il senso della religione alla quale tutti credono. Certo, era un paragone forse dissacrante, ma sicuramente significativo.

E che doveva rispondere al Giovane Apprendista?

Gli venne in mente una storia che molti anni prima gli raccontò il nonno. Una storia semplice, ma, allo stesso tempo, significativa. E pazienza se il giovane Apprendista si fosse adombrato per sentirsi raccontare quella che pareva a prima vista (ma solo a prima vista, però!) una favola.

Il Vecchio Copritore iniziò la storia.

(continua)

Nessun commento: