(nel post di ieri una premessa utile)
Durante i lavori di Loggia non è permesso trattare politica o religione. E' un divieto variamente inteso: in tanti anni ho sentito parlare di induismo, buddhismo, ebraismo, a volte anche di cristianesimo. Credo che il divieto significhi soprattutto che ci sono problematiche che non fan parte degli scopi del lavoro di Loggia perché dividono invece di unire. Se qualcuno è in grado di parlar di religione senza dividere e altri di ascoltar di religione senza dividersi, perché no? Tutto sommato è solo indispensabile riconoscere che le vie della trascendenza sono tante, praticamente una per ogni essere umano, e probabilmente conducono "grosso modo" alla stessa meta.
Qui propongo una lettura "mia" dell' "Ultima Domanda" di Asimov che mi pare possa essere un approccio particolare (ma non improprio) alla trascendenza. Se qualcuno può sentirsi disturbato è sufficiente non continui la lettura.
La domanda
Il Vecchio Copritore era giunto per
tempo alla sede della Loggia: era infatti compito suo aprire in
occasione delle tornate e lui si premurava sempre di essere in
anticipo. Avrebbe avuto così il tempo di parlare con i fratelli e
magari approfittarne per qualche scambio di idee con qualcuno: modo
leggero di porgere ai fratelli più giovani stimoli senza
appesantirli di quella che è pomposamente chiamata Istruzione del
Grado.
Appena aperto la sede fu raggiunto da una nostra vecchia conoscenza,
Ulisse, ormai Apprendista della Loggia. Il Vecchio Copritore lo chiamava
Giovane Apprendista, ma con una ironia molto affettuosa che in un
certo senso abbelliva la forte stima verso un Fratello solido e
desideroso di impadronirsi dei “trucchi del Mestiere”. Spesso i
due si trovavano a parlare prima delle Tornate di Loggia e
l’Apprendista poteva chiedere ed esporre i suoi dubbi.
Il cosiddetto Giovane Apprendista aveva
infatti compreso subito che il suo interlocutore era un vecchio
Fratello che provava un particolare piacere a parlare con i Fratelli
meno esperti.
Quella sera il Giovane Apprendista era
in preda ad un dubbio molto serio. Verteva sul divieto di
intrattenersi in questioni di politica e religione; anzi proprio di
religione.
Che senso aveva chiedere nel testamento
quali fossero i doveri dell’uomo verso l’Essere supremo se poi
non si poteva parlare mai di religione e quindi di Gadu?
Al Vecchio Copritore piaceva
quell’Apprendista, sempre pronto a chiedere, a far domande mai
banali. Si vedeva proprio che rifletteva e meditava. Si vedeva
soprattutto che aveva intrapreso la via con serietà, non limitando
le sue riflessioni al lavoro di Loggia ma pensando di continuo,
giorno e notte, ...soprattutto notte.
La domanda che gli era stata posta era
proprio una domandona, di quelle che agitano le acque come il drappo
rosso sventolato davanti al muso del toro lo fa irritare sempre di
più.
Molti massoni evitano accuratamente
quelle che lui chiamava le domande “di confine”. Quelle che ti
possono portare a risposte sgradevoli, che ti complicano la vita, che
ti scuotono dal tran tran che ti sei costruito e che magari ti
possono portare al di fuori della tranquillità del percorso
tracciato (ma tracciato da chi?). Preferivano, questi Massoni,
accontentarsi della quotidiana routine, molto più rassicurante,
piuttosto che inoltrarsi in sentieri mai tracciati, che non sai dove
portano.
Insomma la domanda verteva sul Grande
Architetto. E il Vecchio Copritore avvertiva un obbligo morale di
rispondere e non trincerarsi dietro l’impossibilità di rispondere,
il divieto (posto da chi?) di rispondere, l’opportunità di tacere,
la necessità (e perché mai?) di tacere. Forse – sgradevolmente il
pensiero si affacciava alla mente del Vecchio Copritore – chi
negava doversi rispondere a certe domande era semplicemente
impossibilitato a rispondere perché, come diceva il suo vecchio
professore di matematica, chi non risponde non conosce la risposta (e
spesso non vuole ammetterlo).
E stabilito il dovere di rispondere
(lui almeno lo avvertiva così) subito dopo il busillis: cosa
rispondere?
Non poteva rispondere sull’esistenza
di Dio. Questo sì era scorretto. I padri fondatori, grazie al cielo,
avevano lasciato in eredità la mancanza di una qualsiasi teologia
massonica; avevano semplicemente indicato che chiunque avrebbe dovuto
“sentire” come meglio avrebbe ritenuto. Insomma, se hai fame, ti
puoi far preparate un buon piatto di agnello (per restar nella
tradizione cristiana), ma come cucinarlo, questo era lasciato a te.
Lo potevi cucinare con il rosmarino o la menta, oppure il basilico, o
la maggiorana oppure l’origano; o il dragoncello o con niente del
tutto. I vari aromi erano le vie del culto, ma la fame di
trascendenza, di agnello, era comune a tutti gli uomini. Ecco il
senso della religione alla quale tutti credono. Certo, era un
paragone forse dissacrante, ma sicuramente significativo.
E che doveva rispondere al Giovane
Apprendista?
Gli venne in mente una storia che molti
anni prima gli raccontò il nonno. Una storia semplice, ma, allo
stesso tempo, significativa. E pazienza se il giovane Apprendista si
fosse adombrato per sentirsi raccontare quella che pareva a prima
vista (ma solo a prima vista, però!) una favola.
Il Vecchio Copritore iniziò la storia.
(continua)
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