Però non è condanna del ridere, ma
del ridere inopportuno.
E qui il massone potrebbe ribattere:
Appunto, è inopportuno ridere in Loggia.
Questo massone è contro il ridere, non
solo contro il ridere inopportuno.
Mentre la tradizione ebraica, per
bocca del Rabbi di Lublino insegna che si può, si deve ridere,
specie mentre si piange, perché il solo pianto porta alla
disperazione e il solo riso rende sciocchi e fa perdere il timor di
Dio.
Dunque: ridiamo. Meglio: sorridiamo.
Ma perché il cristianesimo, cioè i
fondamentalisti cristiani dei primi secoli erano contro il riso?
Credo che una buona risposta si possa
trovare in Umberto Eco, Il nome della rosa. E’ un romanzo un
po’ freddino, dalla lettura piacevole, non so di quanto valore
letterario, ma certo feconda miniera di informazioni.
Chi ride non crede in ciò di cui si
ride, ma neppure lo odia. E dunque ridere del male significa non
disporsi a combatterlo e ridere del bene significa disconoscere la
forza per cui il bene è diffusivo di sé. Per questo la Regola dice:
“decimus humilitatis gradus est si non sit facilis ac promptus in
risu, quia scriptum est: stultus in risu exaltat vocem suam”.1
E ancora.
Jorge temeva il secondo libro di
Aristotele2
perché esso forse insegnava davvero a deformare il volto di ogni
verità, affinché non diventassimo schiavi dei nostri fantasmi.
Forse il compito di chi ama gli uomini è di far ridere della verità,
fare ridere la verità, perché l'unica verità è imparare a
liberarci dalla passione insana per la verità.3
Insomma, in sintesi.
Il riso squassa il corpo, deforma i
lineamenti del viso, rende l'uomo simile alla scimmia.4
Ecco qui forse sta il succo del
problema.
Per una concezione integrale e
fondamentale della vita e della religione (per non dire integralista
e fondamentalista), in cui l’uomo era visto come creato ad immagine
e somiglianza di Dio, qualunque atto che modificasse, sia pure per un
momento, il bel sembiante era
visto come contrario a Dio e originato dal demonio.
Se, di più,
pensiamo alla risata a crepapelle, la cosiddetta risata di pancia,
quella che senti nascere dalle viscere e che ti fa poi scuotere tutto
il corpo, quella irresistibile scoppio di energia liberatoria che ti
pulisce la mente dalle impurità fosche del tuo mare interiore; se
pensiamo a quel tipo di ridere, allora possiamo ben capire come si
sia potuto fantasticarne demoniaca l’origine. Le viscere sono la
parte più bassa della pancia e stanno - ahi! Ahi! – vicino agli
organi sessuali, proprio gli organi, per i nostri fondamentalisti,
origine del male nel mondo. E così – per loro – la creatura del
bel sembiante viene quasi trasmutato in un piccolo Satana, che
non solo non va retro, ma al contrario avanza.
Ferrea convinzione,
la loro, ben tetragona ai colpi di ventura, che pare proprio
quel masso che dal vertice di erpa ripa montana... batte sul fondo
e sta. Ferrea convinzione, che lì sta, che fu solo
scalfita dalla letizia di Francesco di Assisi e che ancora oggi
dipana in molti le sue influenze, anche se non più per quei lontani
motivi.
La risata, il
ridere provoca una contrazione dei muscoli e quindi la deformazione
del bel sembiante. A quegli occhi parziali, che non erano in
grado di “vedere” il mondo e lo filtravano attraverso una lente
ideologica strana, come gli occhiali polaroid che “filtrano” la
luce e quindi mostrano non tutta la visione, ma solo una sua parte, a
quegli occhi limitativi pareva proprio la deformazione del volto di
Dio.
Così è il
fondamentalista, qualunque fondamentalista. Così è l’integralista,
qualunque integralista. Hanno occhiali colorati e non riescono a
vedere tutte le sfumature: si accontentano di ciò che vedono e che
pensano sia la verità.
Non si pongono il problema se ciò che vedono
sia completo, sia corretto, sia deformato. Vedono solo così, e così
è. Non si accorgono di perdere tanto...
La loro Massoneria
è seria, severa, puritana, formale; insomma: tetra. Non sanno
distinguere tra lo spirito dell’esser Massoni e i particolari
dell’esser Massoni; non sanno distinguere tra lo spirito generale
della Massoneria (aspetto dello spirito universale dell’Umanità) e
i particolari (appunto: particolari contingenti) attraverso i quali
lo spirito si realizza in quel particolare momento.
Sono come quel
tizio che dovendo scegliere tra due bottiglie di vino si fa prendere
dall’etichetta o dalla forma della bottiglia e non dal contenuto.
Oppure come quell’altro che riempì il suo mobile libreria in base
al colore delle copertine e, tanto per dire, mise Guerra e pace
vicino al Manuale delle Giovani Marmotte perché
l’accostamento dei colori delle copertine era piacevole. E non si
sognò mai di leggerli, quei libri.
NOTE
1 Umberto
Eco, Il nome della rosa, Milano, 1980, p. 105.
2 E' appunto l’opera di Aristotele che tratta del ridere. L’autore
immagina che l’ultima copia esistente sia stata volutamente
distrutta nel rogo della biblioteca del convento.
3 Ivi,
p. 374.
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