Se le stesse apparissero una sola notte ogni mille anni, come gli uomini potrebbero credere e adorare, e serbare per molte generazioni la rimembranza della città di Dio?
Ralph Waldo Emerson
Il pianeta lontano 2
Gli abitanti del pianeta sono strani.
Per certi versi ci assomigliano molto, per altri sono
fondamentalmente dissimili.
La genesi del racconto è chiara: la
civiltà di un lontano pianeta è giunta a un livello pari al nostro
o almeno a quello della metà del XX secolo1.
Questa civiltà presenta però alcune lacune (lacune – ovviamente –
dal nostro punto di vista; dal loro, infatti, sarebbe la nostra
civiltà ad avere imboccato strade inutili o senza prospettive). Il
descrivere un popolo lontanissimo per mostrare i difetti del nostro
popolo è un espediente letterario molto usato nella storia; mi viene
in mente un esempio per tutti: I viaggi di Gulliver descrivono
fantastici popoli apparentemente diversissimi, ma in sostanza simili
agli inglesi del XVII-XVIII secolo, tranne che in pochi aspetti
(quelli appunto che si volevano criticare) permettendo di costruire
una satira efficace.
Rispetto alla nostra, la civiltà del
lontano pianeta manca di una tecnica di illuminazione degli ambienti
bui (cioè stanze senza finestre oppure caverne sotterranee). Infatti
in quello strano pianeta la gente ha sviluppato una forte e
patologica avversione per gli ambienti non illuminati. Una
irresistibile fobia del buio, che l’autore chiama claustrofobia, ma
che più correttamente si dovrebbe chiamare acluofobia o nictofobia:
la claustrofobia è il timore di spazi chiusi, mentre qui si parla di
terrore del buio, sia l’oscurità di spazi chiusi, sia il buio
esterno del cielo, quello che noi uomini del pianeta terra
consideriamo meraviglioso perché probabilmente inciso nel nostro
patrimonio genetico con l’immagine stupenda del cielo stellato:
prova ne sia lo stupore che sempre ci prende quando lo osserviamo.
Quella gente invece non aveva e non aveva mai avuto non dico la
necessità ma neppure stimoli o curiosità per avventurarsi in tali
ambienti, anzi li rifuggiva e ne stava alla larga.
Lasciamo per un attimo la parola
all’autore, perché credo riesca efficacemente a descrivere la
situazione. Dunque un paio di anni prima degli avvenimenti descritti
fu organizzata una specie di mostra della scienza... Uno psicologo
sta parlando ad un giornalista.
...Avrà
sentito parlare del “Tunnel del Mistero”... Era lungo poco più
di un chilometro: senza luci. Si saliva su un’automobilina scoperta
e, per un quarto d’ora, si filava attraverso l’Oscurità. Un
passatempo che piacque molto... C’è del fascino nell’essere
spaventati, quando questo fa parte del gioco. Il bambino nasce con
tre paure istintive: dei rumori forti, del cadere e dell’assenza di
luce. Per questo è considerato tanto divertente, precipitarsi
incontro a qualcuno, gridando «Buuu!». Ed ecco perché è così
divertente salire su un ottovolante... E, sempre per questo, il
“Tunnel del Mistero” da principio fece faville. La gente usciva
dall’Oscurità senza fiato, tremante, mezza morta di paura, ma
continuava a pagare per riprovare la stessa emozione.
-
...Qualcuno uscì di là privo di vita, vero? Per lo meno, così ho
sentito dire, in seguito alla chiusura del tunnel.
- ...Le
famiglie vennero indennizzate... In fin dei conti, dicevano gli
organizzatori, se una persona debole di cuore vuole entrare nel
tunnel lo fa a suo rischio e pericolo. E poi, vennero prese delle
misure. Misero un medico di guardia, nella biglietteria, e chi voleva
salire su una di quelle automobiline doveva prima sottoporsi a una
visita di controllo. Questo fece salire materialmente alle stelle la
vendita dei biglietti.
Ma c’era
dell’altro. A volte la gente usciva di là in condizioni perfette,
salvo che rifiutava di entrare nei luoghi chiusi: in qualsiasi luogo
chiuso, compresi i palazzi, le ville, gli appartamenti, le capanne,
le cabine e perfino le tende.
- Oh, lo
fecero, lo fecero. Ragion per cui, quelle persone venivano prese da
violente crisi isteriche e facevano del loro meglio per fracassarsi
il cranio contro la parete più vicina. Una volta portati al chiuso,
era impossibile tenerceli senza ricorrere all’uso della camicia di
forza o di una massiccia dose di tranquillanti.
- Pazzi,
sì, esattamente. Su dieci persone che entravano in quel tunnel,
almeno una si riduceva in quello stato. Chiamarono in aiuto gli
psicologi, e noialtri facemmo la sola cosa possibile: quella di
chiudere la mostra.
Qui sta il tallone d’Achille di
questa strana civiltà (strana per noi, perché magari per loro siamo
noi gli strani). Gli uomini non sono in grado di sopportare il buio e
non lo sopportano. Lo fuggono e se proprio non possono evitarlo,
allora beh c’è il concreto rischio di danni irreparabili al loro
equilibrio mentale. Insomma in quel pianeta non avrebbe potuto
esistere un Kant che partì nella sua filosofia proprio dalle
suggestioni del cielo stellato!
Ma si profila un grave pericolo. Già
gli archeologi avevano individuato tracce di sconvolgimenti ciclici:
pareva che periodicamente ogni duemila anni una catastrofe avesse
distrutto la coeva civiltà pur fiorente.
Molte furono le supposte cause delle
catastrofi, ma solo la recente scoperta della legge di gravitazione
universale aveva fatto comprendere il motivo del sopraggiungere del
buio: una luna, invisibile nella luce del continuo giorno, occulta
ogni duemilaquarantanove anni, con cinque soli sotto l’orizzonte,
l’unico sole in cielo provocando un’eclisse totale, spettacolo
per noi stupendo ma per quei lontani nostri simili (parenti?)
deleterio come il giudizio universale.
Infatti la scomparsa in cielo della
luce e la mezza giornata di oscurità che segue e che per le orbite
astronomiche di soli e pianeta coinvolge tutto il pianeta, fa
impazzire gli uomini che in preda ad un incontrollabile panico
cercano a tutti i costi un po’ di luce. Come può trovare un’orda
impazzita la luce? Semplicemente bruciando tutto ciò che di
combustibile incontra. Ed ecco spiegata la distruzione totale di
tutto e la fine della civiltà. Immagino infatti il Day After
come una specie di post-olocausto, dove gli uomini sono ancora in
gran parte vivi ma senza il minimo barlume dentro: dead walking
men (se si potesse ironizzare su una locuzione agghiacciante) in
grado solo di distruggere senza senso altri uomini e cose.
Il racconto si svolge all’interno di
un osservatorio astronomico e ne tralasciamo i dettagli. Gli
astronomi si preparano ad affrontare l’eclissi totale dell’unico
sole rimasto in cielo registrando fino all’ultimo dati che possano
essere utili alla civiltà successiva.
Veniamo a sapere che in quei tempi si è
molto sviluppata una setta religiosa (il cultismo) con la quale
alcuni scienziati hanno iniziato una forma di collaborazione (nel
senso di trasmissione di informazioni).
Sono state
date spiegazioni di queste catastrofi ricorrenti, tutte di natura più
o meno fantastica. Alcune parlano di periodiche piogge di fuoco;
altre sostengono che, ogni dato periodo, Lagash2
passi attraverso un sole; e ce ne sono di ancora più sballate. Ma
c’è una teoria, completamente diversa dalle altre, che si tramanda
da alcuni secoli.
-
Precisamente... I cultisti dicevano che ogni duemilacinquant’anni
Lagash entrava in un’immensa caverna, così che tutti i soli
scomparivano, e che su tutto il mondo calava l’oscurità totale!
Poi, a sentir loro, apparivano cose chiamate Stelle, che derubavano
gli uomini della loro anima e li lasciavano simili a bruti privi di
raziocinio, al punto da distruggere la civiltà che essi stessi
avevano costruito. Naturalmente, tutto questo si mescola con una
quantità di elementi mistico-religiosi, ma l’idea centrale è
quella.
Il Libro delle Rivelazioni parla di
fantomatiche Stelle delle quali nessuno sa nulla.
Gli uni credono che le stelle facciano
impazzire tutti gli uomini, ma i cultisti vedono l’ “impazzimento”
come ciò che resta dell’uomo dopo la partenza delle anime
richiamate dalle stelle alla loro dimora naturale: corpi appunto
senz’anima, senza i loro proprietari entrati ormai nell’eternità,
preda solo della materia e degli istinti materiali.
NOTE
NOTE
1 Epoca
della scrittura del racconto.
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