domenica 27 dicembre 2009

7.1.4 Hiram e Zarathustra

Quel grande dissacratore che fu Nietzsche colse nel segno quando parlò Della libera morte (in Così parlò Zarathustra – Un libro per tutti e per nessuno, Milano, 2003, p. 80).
Molti muoiono troppo tardi, e alcuni troppo presto. Ancora suona insolita questa dottrina: «Muori al momento giusto!».
Muori al momento giusto: così insegna Zarathustra. Certo, colui che mai vive al momento giusto, come potrebbe morire al momento giusto? Non fosse mai nato! - Questo consiglio io do ai superflui.
Ma anche i superflui si dànno grande importanza quando muoiono, e anche la più vuota delle noci vuol essere schiacciata
[Perché questo - secondo Nietzsche - è il destino della noce: avere il guscio spezzato per essere mangiata, la migliore come la meno buona (così si sente migliore?). Al di là del punto di vista (sia pure simbolico) esclusivamente antropocentrico (la noce potrebbe obiettare che il suo destino, come frutto dell'albero noce, è di dar vita ad altri noci), la risultante dell’esistenza del frutto noce – dal punto di vista del mangiatore – è di essere degustata, la buona e la cattiva. Così tutte le noci aspirano ad essere schiacciate, atto appunto precedente la degustazione.].
Per tutti, morire è una cosa importante: ma la morte non è ancora una festa. Gli uomini non hanno ancora imparato come si consacrano le feste più belle.

Il massone camminatore potrà afferrare il senso della morte solo dopo essersi liberato dalle paure ancestrali della individualizzazione della specie. Allora sì che potranno imparare a consacrare le feste più belle (la morte è quindi non il termine cristiano della vita [Alla stessa concezione appartengono anche le immagini della Loggia Celeste e l'Onnipotente Mano del Supremo Maestro richiamate nel terzo discorso di Hiram] – sia pure con tutti gli abbellimenti dell’oltretomba – quanto una porta che si pone di fronte al camminatore). Per sua natura estraneo al devotismo religioso e consolatorio, che promette premi nel post mortem in cambio di una condotta retta il libero muratore affronta la porta e si affaccia sull'altrove. La morte, che in molti devoti viene vista con il terrore di chi teme la punizione eterna, non gli suscita paura e sgomento: è un atto necessario della vita, è l’altra faccia della vita (come d’altro canto la vita è l’altra faccia della morte).

Continua Zarathustra, quasi all'unisono con Hiram:
Io vi mostro la morte come adempimento, la morte che per i vivi diventa uno stimolo e una promessa.
Colui che adempie la sua vita, morrà la sua morte da vittorioso, circondato dalla speranza e dalle promesse di altri.
Così si dovrebbe imparare a morire: e non vi dovrebbe essere festa alcuna, senza che un tal morente non consacrasse i giuramenti dei vivi!
Questa è la morte migliore; quindi viene: morire in battaglia e profondere un’anima grande.
Ma la vostra morte ghignante, che si avvicina furtiva come un ladro, e tuttavia viene come la padrona, - è odiosa tanto al combattente quanto al vincitore.
Vi faccio l’elogio della mia morte, la libera morte, che viene a me, perché io voglio.

Attenzione. Zarathustra non predica la “bella morte” (in battaglia, durante un gesto epico, in uno slancio di altruismo), ma la morte per così dire “opportuna”: non si deve morire né troppo presto, né troppo tardi. Il camminatore è dunque giunto a un punto tale del cammino da “sapere” quando è il tempo “giusto” per morire: chiosando il 1° Sorvegliante, quando è giunto il tempo giusto e perfetto per morire. Non vuole, il massone, la morte che si avvicina di soppiatto e all’improvviso (anche se comunque deve essere sempre pronto, “con la valigia in mano”). Non vuole la morte che sopraggiunga troppo presto e non vuole la morte che tardi a venire: per tutto c'è il suo tempo, c'è il suo momento per ogni cosa sotto il cielo.

Il camminatore è un felice connubio di forza e bellezza, fuor di metafora tra ragione e intuizione. L’intuizione può anche essere “giusta”, ma se non è supportata dalla necessaria forza raziocinante non può essere messa in pratica; la forza della ragione può essere vigorosa e possente, ma se non è “guidata” dall’intuizione rimane sterile e fine a se stessa. Se l’equilibrio tra forza e bellezza viene meno e l’una non riesce più a compenetrarsi con l’altra, allora l’unità complessa “uomo” perde la propria coesione e possono verificarsi (perché l’uomo così squilibrato lo vuole o crede di volerlo) atti contraddittori.

La famosa “conversione in punto di morte”, esempi della quale riempiono le apologetiche del devotismo di ogni religione, è il tipico risultato della perdita di equilibrio del decadimento dell’uomo fisico.

La morte è vista come una tappa del cammino. Il camminatore non sa se la tappa è l’ultima oppure è una delle tante (molte o poche) del percorso. Ma non se ne preoccupa: suo compito è di percorrere al meglio questa tappa, senza pensare alle (eventuali) successive (così insegna anche Hiram nel secondo discorso).

Simbolo del grado è il triangolo spezzato, che allude proprio a quanto temuto. Al momento di trasmettere la Parola si prende atto che uno dei tre, Hiram appunto, è mancato: la Parola non può essere trasmessa e viene sepolta nella cripta.

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