In genere il massone rivolto al sociale giustifica la propria aspirazione con le figure di quei massoni che ebbero ruoli attivi nei rispettivi paesi o nelle rispettive professioni. L’elenco dei nomi è lunghissimo, praticamente illimitato, e si spazia da Garibaldi a Washington, da Allende a Franklin, da Voltaire a Cavour.
Ma dimentica che Voltaire entrò nell’istituzione pochi mesi prima della morte e non può quindi essere considerato un maître à penser muratorio. Dimentica anche che se molti massoni operarono per la democrazia (ma andrebbero anche esaminate le differenze tra gli uni e gli altri, perché politicamente esistono eterogeneità e difformità anche sostanziali tra un Garibaldi, un Ataturk e un Washington) altrettanti operarono per regimi non democratici, anche se non necessariamente totalitari.
Dimentica anche che se fu massone Silvio Pellico, fu pure massone il giudice Salvotti che lo condannò allo Spielberg; se fu massone Allende, furono anche massoni lo stesso Pinochet (ahi! ahi!) e gli agenti della Cia che lo rovesciarono; se fu massone Proudhon, fu massone anche il famigerato Duvalier, dittatore-padrone di Haiti negli anni sessanta del Novecento più noto come Papa Doc, e fu massone pure il suo degno figliolo Baby Doc. Fu massone Andrea Costa e fu massone Charles Lindbergh, il primo sorvolatore atlantico di dichiarate simpatie naziste. Per rimanere all’Italia se furono massoni Giovanni Bovio e Mario Angeloni, furono massoni pure Cesare Balbo e Roberto Farinacci (anche se si allontanarono dalle logge dopo la decretata incompatibilità tra fascismo e massoneria).
Insomma non si possono certo definire campioni della democrazia; e nemmeno campione della laicità e della democrazia può essere considerato il fratello de Maistre, controrivoluzionario e papista, (autore di un reazionario seppur godibilissimo elogio del boia).
[Moramarco, Nuova Enciclopedia Massonica, v.2, p. 136. Moramarco continua. Joseph de Maistre si staglia nella storia della Massoneria come la figura decisamente più scomoda di tutto il panorama che stiamo osservando [seconda metà del xviii e inizi del xix secolo]. Il suo “Du Pape” fu (…) un’anticipazione (…) dell’infallibilità papale… Escludeva che la sovranità potesse risiedere nel popolo… Difese la legittimità ordinaria della pena di morte… Fu anche un Libero Muratore zelante…].
Diversi anni fa la Rivista Massonica pubblicò numerose schede di massoni (raccolte poi in Mille volti di massoni a cura di Giordano Gamberini): una galleria di personaggi, i più disparati, degli ultimi tre secoli: militari, aristocratici, borghesi. Non si riesce a individuare in loro un filo comune “democratico”.
Credo che il vedere la massoneria come campione della democrazia sia eccessivo e solo eredità di certe concezioni del passato, quando l’Ordine (ahimè) faceva politica (e la faceva “così bene” che il parlamento che nei primi anni del secolo decretò l’insegnamento religioso cattolico nelle scuole pubbliche era composto in maggioranza da massoni!).
Non è neppure vero che l’Ordine stesso sia una associazione democratica.
L’apprendista e il compagno non possiedono elettorato attivo e passivo (l'apprendista nemmeno il diritto di parola). Solo il Maestro può votare per la gestione degli organi dell’Ordine e solo il Maestro con anzianità di un anno nel grado può essere eletto alle dignità di Loggia e solo dopo tre anni di anzianità nel grado e aver ricoperto per almeno un anno una dignità di Loggia il Maestro può essere eletto Maestro Venerabile. e solo chi ha ricoperto la dignità di Venerabile può candidarsi a incarichi più alti.
Gli apprendisti non possono decidere quando diventare compagni, ma lo diventano solo su chiamata (cooptazione è il termine tecnico), così come per cooptazione il compagno diventa maestro. Così si entra in massoneria per chiamata, decisa all’unanimità di voti dei presenti (non a maggioranza). Agli occhi del massone può sembrare ovvio e opportuno, ma sicuramente non sono princìpi di democrazia e contraddicono la norma: una testa, un voto.
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