Il nostro
tempo è caratterizzato da mancanza di comprensione e accentuata
aggressività.
Spesso
assistiamo nella vita quotidiana, specie quella pubblica, a scontri
(non incontri), a diatribe, a polemiche contro questo o contro
quello, a dispute tanto focose quanto fantasiose.
Pare quasi
che valga il detto: Urlo contro, quindi sono. Alla faccia del
povero Cartesio!
E’
l’aspetto stupido della Forza, lontana non solo da qualunque
possibilità di incontro con la Bellezza, ma pure da paradigmi
interpretativi del mondo.
Non è
nemmeno Forza distruttiva, ma semplice moto disgregativo, che
polverizza tutto ciò che trova nel suo raggio di azione.
Distrugge
senza nulla costruire, senza nemmeno lasciare un progetto sulla
Tavola da Disegno. Distrugge per il gusto di distruggere.
Manca
l’intelligenza della Forza, che permette alle azioni, del
singolo o di tanti, sia incisiva. Se Bellezza le si accompagna (ma
c’è da dubitarne) è una Bellezza svaporata, come la inanità di
quei riccioli freddi di vapore che non sono nebbia, né limpido né
foschia né grigiore.
Così si
diventa molto bravi a individuare i difetti dell’interlocutore e si
resta inconsapevoli dei propri. E quindi che può importarci di
essere più disponibili al confronto se le difficoltà sono dovute
sempre agli altri che ci contrastano o, peggio, combattono?
Riporto un
passo di Davide Giacalone a conclusione di Disonora il giusto – Quello
che hanno fatto a Vincenzo Muccioli (Ed. Seam, Roma, 1996, pp. 155/6).
Certo
queste cose [l’affaire Muccioli] si nutrono di un
generale clima di chiusura e di egoismo. C’è, in giro, poca
fiducia nel futuro, poco entusiasmo per la vita, poca convinzione che
il mondo si possa migliorarlo, ed allora ciascuno diventa un
difensore di quello che ha. Gli altri, quelli che sono fuori, che ci
restino. (…). Quando… una società stagna, perdendo fiducia
nell’immediato futuro, allora tutto il peggio di noi stessi viene a
galla. E che i drogati finiscano in galera… In fondo se la
sono voluta.
Le parole
di Giacalone si riferiscono ai tossicodipendenti che Muccioli e tanti
altri avevano cercato di aiutare ad uscire dal loro inferno (con le
note vicende giudiziarie di Muccioli che Giacalone puntigliosamente
ricostruisce).
Ma se al termine drogati sostituiamo
alcolizzati o immigrati o peggio immigrati
clandestini, eccetera, queste parole scritte vent’anni fa
restano purtroppo attuali anche oggi.
E temo resteranno attuali anche
per gli anni a venire, perché l’atteggiamento di chiusura non è
legato a fatti obiettivi ma è uno stato dell’animo, quasi una
presa di posizione fideistica di una religione individualista
costruita a propria misura e che alla base pone il proprio benessere
e individua il punto critico nell’altro (a seconda dei casi il
vicino di casa, l’abitante del paese limitrofo, chi viene da
lontano e non ha il tuo stesso modo di comportarsi).
Secondo i
nostri canoni interpretativi è un comportamento basato sulla Forza
con nulla di Bellezza. E se Bellezza c’è, è Bellezza asfittica,
che non riesce ad adornare nulla.
Il leader
politico è uomo realista in grado di “leggere il futuro” e
fissare mete (coerenti con le proprie impostazioni ideologiche) e
verso quelle convincere a dirigersi, anche chi, presbite, non riesce
a vedere così lontano.
Il leader
politico è un armonioso groviglio tra la forza del realismo e la
bellezza dell’immaginazione, ma pure tra realismo della forza e
immaginazione della bellezza e anche, non ultimo, tra forza
dell’immaginazione e realismo della bellazza.
Non
lasciamoci ingannare dal bisticcio di parole. Il leader politico
riesce a vedere oltre la punta del naso obiettivi per tutti, non solo
per una parte e sa (o almeno ci prova) portare la maggioranza verso
quegli obiettivi.
Giacalone
cita (p. 104) dagli Scritti politici e di filosofia della storia e
del diritto di Immanuel Kant.
Nessuno
mi può costringere ad essere felice in un (certo) modo, ma ciascuno
può cercare la propria felicità nel modo che gli sembra opportuno
(…). Un governo che venisse costituito in base al principio della
benevolenza verso il popolo (…) cioè un governo paternalistico (…)
è il più grande dispotismo pensabile.
Il (nuovo)
autoritarismo non ha bisogno di violenza fisica (squadracce di
picchiatori) o psichica (ricoveri coatti in ospedali psichiatrici),
né di lager e gulag: sono sufficienti capi politici che solletichino
i peggiori sentimenti e la paura della gente e che si rivolgano alla
pancia non alla testa.
Riducono
che non è d’accordo a diventare la biblica vox clamantis in
deserto: parla pure, tanto non
ti ascolta nessuno e si fa in modo che nessuno ti ascolti.
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