domenica 6 gennaio 2019

Né Forza né Bellezza

Il nostro tempo è caratterizzato da mancanza di comprensione e accentuata aggressività.

Spesso assistiamo nella vita quotidiana, specie quella pubblica, a scontri (non incontri), a diatribe, a polemiche contro questo o contro quello, a dispute tanto focose quanto fantasiose.

Pare quasi che valga il detto: Urlo contro, quindi sono. Alla faccia del povero Cartesio!

E’ l’aspetto stupido della Forza, lontana non solo da qualunque possibilità di incontro con la Bellezza, ma pure da paradigmi interpretativi del mondo.

Non è nemmeno Forza distruttiva, ma semplice moto disgregativo, che polverizza tutto ciò che trova nel suo raggio di azione.

Distrugge senza nulla costruire, senza nemmeno lasciare un progetto sulla Tavola da Disegno. Distrugge per il gusto di distruggere.

Manca l’intelligenza della Forza, che permette alle azioni, del singolo o di tanti, sia incisiva. Se Bellezza le si accompagna (ma c’è da dubitarne) è una Bellezza svaporata, come la inanità di quei riccioli freddi di vapore che non sono nebbia, né limpido né foschia né grigiore.

Così si diventa molto bravi a individuare i difetti dell’interlocutore e si resta inconsapevoli dei propri. E quindi che può importarci di essere più disponibili al confronto se le difficoltà sono dovute sempre agli altri che ci contrastano o, peggio, combattono?

Riporto un passo di Davide Giacalone a conclusione di Disonora il giusto – Quello che hanno fatto a Vincenzo Muccioli (Ed. Seam, Roma, 1996, pp. 155/6).

Certo queste cose [l’affaire Muccioli] si nutrono di un generale clima di chiusura e di egoismo. C’è, in giro, poca fiducia nel futuro, poco entusiasmo per la vita, poca convinzione che il mondo si possa migliorarlo, ed allora ciascuno diventa un difensore di quello che ha. Gli altri, quelli che sono fuori, che ci restino. (…). Quando… una società stagna, perdendo fiducia nell’immediato futuro, allora tutto il peggio di noi stessi viene a galla. E che i drogati finiscano in galera… In fondo se la sono voluta.

Le parole di Giacalone si riferiscono ai tossicodipendenti che Muccioli e tanti altri avevano cercato di aiutare ad uscire dal loro inferno (con le note vicende giudiziarie di Muccioli che Giacalone puntigliosamente ricostruisce).

Ma se al termine drogati sostituiamo alcolizzati o immigrati o peggio immigrati clandestini, eccetera, queste parole scritte vent’anni fa restano purtroppo attuali anche oggi.

E temo resteranno attuali anche per gli anni a venire, perché l’atteggiamento di chiusura non è legato a fatti obiettivi ma è uno stato dell’animo, quasi una presa di posizione fideistica di una religione individualista costruita a propria misura e che alla base pone il proprio benessere e individua il punto critico nell’altro (a seconda dei casi il vicino di casa, l’abitante del paese limitrofo, chi viene da lontano e non ha il tuo stesso modo di comportarsi).

Secondo i nostri canoni interpretativi è un comportamento basato sulla Forza con nulla di Bellezza. E se Bellezza c’è, è Bellezza asfittica, che non riesce ad adornare nulla.

Il leader politico è uomo realista in grado di “leggere il futuro” e fissare mete (coerenti con le proprie impostazioni ideologiche) e verso quelle convincere a dirigersi, anche chi, presbite, non riesce a vedere così lontano.

Il leader politico è un armonioso groviglio tra la forza del realismo e la bellezza dell’immaginazione, ma pure tra realismo della forza e immaginazione della bellezza e anche, non ultimo, tra forza dell’immaginazione e realismo della bellazza.

Non lasciamoci ingannare dal bisticcio di parole. Il leader politico riesce a vedere oltre la punta del naso obiettivi per tutti, non solo per una parte e sa (o almeno ci prova) portare la maggioranza verso quegli obiettivi.

Giacalone cita (p. 104) dagli Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto di Immanuel Kant.

Nessuno mi può costringere ad essere felice in un (certo) modo, ma ciascuno può cercare la propria felicità nel modo che gli sembra opportuno (…). Un governo che venisse costituito in base al principio della benevolenza verso il popolo (…) cioè un governo paternalistico (…) è il più grande dispotismo pensabile.

Il (nuovo) autoritarismo non ha bisogno di violenza fisica (squadracce di picchiatori) o psichica (ricoveri coatti in ospedali psichiatrici), né di lager e gulag: sono sufficienti capi politici che solletichino i peggiori sentimenti e la paura della gente e che si rivolgano alla pancia non alla testa.

Riducono che non è d’accordo a diventare la biblica vox clamantis in deserto: parla pure, tanto non ti ascolta nessuno e si fa in modo che nessuno ti ascolti.

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