Ciò che
noi chiamiamo mitologia classica era in realtà storia sacra della
religione dominante. Nel passaggio al cristianesimo le storie sacre
si son trasformate in racconti e leggende e gli dei quasi in
paradigmi dell’arte. “O sante Muse”,
“o buono Apollo”
può cantare il cristianissimo Dante all’inizio di Purgatorio
e Paradiso senza sentirsi meno cristiano nell’ “invocare”
divinità pagane.
Anche il
cristianesimo ha i suoi “miti”, che vanno chiamati “storie
sacre” e ci vengono insegnati fin da piccoli.
E’
limitativo considerarli solo storielle edificanti adatte agli animi
più semplici. Se ne perde di vista la ricchezza non solo simbolica.
Molti li
considerano aneddoti edificanti sulla spinta di una società sempre
meno attenta alle problematiche del sacro, che oggi vien polverizzato
in una miriade di azioni dispersive rivolte non alla sfera del sacro
ma molto più terra terra. Dio è stato trasportato dal cielo alla
terra (ma potrebbe non essere un male) e “spezzettato” come in
una prelibata pietanza (lo spezzatino) che prelibato non è più. E
questo non è un bene.
Non c’è
più quel senso, forse anche esagerato, che un tempo metteva in moto
le moltitudini.
Oggi
nessuno si sognerebbe, come nei primi secoli dell’era cristiana, di
partecipare a sommosse di piazza pro o contro il “filioque” (= “e
dal figlio”. Succintamente: espressione della dottrina cattolica
secondo la quale lo Spirito Santo proviene dal Padre e dal Figlio in
contrapposizione con la chiesa ortodossa che lo intende procedere dal
solo Padre; all’origine dello scisma cristiano ci fu anche il
filioque).
Ma il brutto (appunto: mancanza di bellezza!) non dipende
dal superamento delle controversie per una generale tolleranza più
diffusa che ai tempi delle controversie religiose quanto dal generale
disinteresse a problematiche sentite estranee al “concreto mondo
quotidiano”.
Nel mito il
Paradiso terrestre è un luogo di letizia eterna dal quale fummo
cacciati e che Dante pone in cima al monte del Purgatorio, spirituale
ingresso verso la dimora dei salvati. Oggi è diventata una
situazione di benessere materiale nel quale l’uomo, cacciatone via
Dio, vive in felicità edonistica con i propri simili e con
indifferenza verso i “dissimili”.
Nel suo
Paradiso terrestre terrestre, che più terrestre non si può, l’uomo
di oggi vive nel suo eterno presente e nella sua eterna adolescenza
giovanile. Spesso mette al posto di canoni religiosi altri canoni costruiti
su se stesso e che fanno riferimento solo a se stesso.
Dante
poneva i trentacinque anni nel mezzo del cammin di nostra vita;
ora invece molti trentacinquenni stanno ancora a chiedersi cosa
faranno da grandi.
Nel nostro
mondo del relativo non c’è posto per una realtà assoluta. Molti
vivono nell’eterna giovinezza. Ma la giovinezza passa.
La nostra
società nasconde la morte, ma la morte arriva.
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