venerdì 28 dicembre 2018

La Forza tempera la Bellezza

Altro caso paradigmatico.


Questa è la storia
di uno di noi,
anche lui nato per caso in via Gluck,
in una casa, fuori città,
gente tranquilla, che lavorava.
Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa
in mezzo al verde ormai,
dove sarà?

Questo ragazzo della via Gluck,
si divertiva a giocare con me,
ma un giorno disse,
vado in città,
e lo diceva mentre piangeva,
io gli domando amico,
non sei contento?
Vai finalmente a stare in città.
Là troverai le cose che non hai avuto qui,
potrai lavarti in casa senza andar
giù nel cortile!
Mio caro amico, disse,
qui sono nato,
in questa strada
ora lascio il mio cuore.
Ma come fai a non capire,
è una fortuna, per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati,
mentre là in centro respiro il cemento.
Ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui
e sentirò l’amico treno
che fischia così,
“wa wa”!

Passano gli anni,
ma otto son lunghi,
però quel ragazzo ne ha fatta di strada,
ma non si scorda la sua prima casa,
ora coi soldi lui può comperarla
torna e non trova gli amici che aveva,
solo case su case,
catrame e cemento.

Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà.


1966. Adriano Celentano compone una delle sue più famose canzoni: Il ragazzo della via Gluck.

E’ un brano ispirato dalla nostalgia del passato (ammessa la buona fede dell’autore e non la rincorsa programmata all’accattivarsi del pubblico): la periferia della Milano postbellica fu soggetta ad una urbanizzazione spinta e pochi anni dopo era completamente cambiata. Chi vi aveva abitato non poteva più riconoscere i posti. 

Le case più o meno fatiscenti non c’erano più. Non c’erano più nemmeno prati e giardini: al loro posto case e case, palazzi e palazzi .

La canzone è un inno al verde, sacrificato per costruire case su case, catrame e cemento.

Periodicamente ritorna il “senso della nostalgia del vivere semplice in campagna”.

Ricordate l’Arcadia, l’accademia secentesca che si richiamava alla classica semplicità della vita agreste e idillica della campagna, con “villici” soddisfatti contrapposti ai “cittadini” e al poeta stesso, dalla vita complicata e innaturale, artificiosa e snervante?

Quei poeti non conoscevano la vita che cantavano e ne amplificavano particolari che avevano deformato e che in realtà non erano così.

Le pastorelle che sorvegliano candide pecorelle al pascolo intente a suonare zufoli per ingannare l’attesa esistevano solo nelle menti di quei poeti, non nella realtà.
Vesti pulite, piedi scalzi ma immacolati. Ambiente disteso, gradevole e piacevole.

E’ una Bellezza che non ti coinvolge e senti estranea

Non dicono quei poeti della sporcizia, della fame, dei parassiti, delle malattie, del freddo. Né della morte.

Non dicono delle scomodità, della fatiscenza, del freddo, della fame. 

E’ una Bellezza finta, astratta, sterile. E’ Bellezza senza vitalità, senza la Forza.

A Celentano alcuni mesi dopo rispose Giorgio Gaber.


Era un ragazzo un po’ come tanti che lavorava, tirava avanti
ed aspettava senza pretese il suo stipendio a fine mese;
la madre a carico, in due locali, mobili usati, presi a cambiali
in un palazzo un po’ malandato servizi di corte, fitto bloccato.

Morta la madre, rimasto solo, pensa alle nozze e alla morosa
che già prepara il velo da sposa ed il corredo per la sua casa.
Per quella casa, fitto bloccato, tremila al mese, spese comprese
lui la guardava tutto contento ed aspirava l’odor di cemento.

Già tutto è pronto, le pubblicazioni, il rito in chiesa e i testimoni,
quand’ecco arriva un tipo astratto con barba e baffi e avviso di sfratto.
E quel palazzo un po’ malandato va demolito per farci un prato,
il nostro amico la casa perde per una legge del piano verde.

Persa la casa, fitto bloccato, la sua morosa l’ha abbandonato.
L’amore è bello ma non è tutto e per sposarsi occorre un tetto.
Ora quel prato è frequentato da qualche cane e qualche coppietta
e lui ripensa con grande rimpianto a quella casa che amava tanto

Ma quella casa ma quella casa ora non c’è più.
Ma quella casa ma quella casa l’han buttata giù.


La Forza prova a “smontare” (non a distruggere) la visione nostalgico-idilliaca dell’erba di una volta contro le case di oggi.

In quelle case andranno a vivere persone senza casa o con case non più adeguate.

L’ironia di Gaber qui è estrema, come estrema è la sua fantasia che immagina cose estreme (case abbattute - negli anni Sessanta - per sostituirle con prati e giardini!?!). Ma è bello il contrasto tra immaginazione volitiva alla Gaber contro immaginazione nostalgica alla Celentano!). La Forza colpisce nel segno e mostra come non si debba essere parziali, pena la perdita di armonia.

In genere si pensa alla Bellezza come modalità che “tempera” e “adornna” la Forza (tipico lo scalpello che indirizza la forza del maglietto). Ma anche la Forza ha compiti di “attutire” certe caratteristiche della Bellezza.


P. S. = Per la cronaca il “Piano Verde” fu la legge del 1961 “Piano di Sviluppo Agricolo” per rimodernare il settore agricolo a quel tempo ancora arretrato.


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