Altro caso paradigmatico.
Questa è la storia
di uno di noi,
anche lui nato per caso in via Gluck,
in una casa, fuori città,
gente tranquilla, che lavorava.
Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa
in mezzo al verde ormai,
dove sarà?
Questo ragazzo della via Gluck,
si divertiva a giocare con me,
ma un giorno disse,
vado in città,
e lo diceva mentre piangeva,
io gli domando amico,
non sei contento?
Vai finalmente a stare in città.
Là troverai le cose che non hai avuto qui,
potrai lavarti in casa senza andar
giù nel cortile!
Mio caro amico, disse,
qui sono nato,
in questa strada
ora lascio il mio cuore.
Ma come fai a non capire,
è una fortuna, per voi che restate
a piedi nudi a giocare nei prati,
mentre là in centro respiro il cemento.
Ma verrà un giorno che ritornerò
ancora qui
e sentirò l’amico treno
che fischia così,
“wa wa”!
Passano gli anni,
ma otto son lunghi,
però quel ragazzo ne ha fatta di strada,
ma non si scorda la sua prima casa,
ora coi soldi lui può comperarla
torna e non trova gli amici che aveva,
solo case su case,
catrame e cemento.
Là dove c’era l’erba ora c’è
una città,
e quella casa in mezzo al verde ormai
dove sarà.
1966. Adriano Celentano compone una delle sue più
famose canzoni: Il ragazzo della via Gluck.
E’ un brano ispirato dalla nostalgia del passato
(ammessa la buona fede dell’autore e non la rincorsa programmata
all’accattivarsi del pubblico): la periferia della Milano
postbellica fu soggetta ad una urbanizzazione spinta e pochi anni
dopo era completamente cambiata. Chi vi aveva abitato non poteva più
riconoscere i posti.
Le case più o meno fatiscenti non c’erano
più. Non c’erano più nemmeno prati e giardini: al loro posto case
e case, palazzi e palazzi .
La canzone è un inno al verde, sacrificato per
costruire case su case, catrame e cemento.
Periodicamente ritorna il “senso della nostalgia
del vivere semplice in campagna”.
Ricordate l’Arcadia,
l’accademia secentesca che si richiamava alla classica semplicità
della vita agreste e idillica della campagna, con “villici”
soddisfatti contrapposti ai “cittadini” e al poeta stesso, dalla
vita complicata e innaturale, artificiosa e snervante?
Quei poeti non conoscevano la vita che cantavano e
ne amplificavano particolari che avevano deformato e che in realtà
non erano così.
Le pastorelle che sorvegliano candide pecorelle al
pascolo intente a suonare zufoli per ingannare l’attesa esistevano
solo nelle menti di quei poeti, non nella realtà.
Vesti pulite,
piedi scalzi ma immacolati. Ambiente disteso, gradevole e piacevole.
E’ una Bellezza che non ti coinvolge e senti
estranea
Non dicono quei poeti della sporcizia, della fame, dei
parassiti, delle malattie, del freddo. Né della morte.
Non dicono delle scomodità, della fatiscenza,
del freddo, della fame.
E’ una Bellezza finta, astratta, sterile. E’
Bellezza senza vitalità, senza la Forza.
A Celentano alcuni mesi dopo rispose Giorgio
Gaber.
Era
un ragazzo un po’ come tanti che lavorava, tirava avanti
ed
aspettava senza pretese il suo stipendio a fine mese;
la
madre a carico, in due locali, mobili usati, presi a cambiali
in
un palazzo un po’ malandato servizi di corte, fitto bloccato.
Morta
la madre, rimasto solo, pensa alle nozze e alla morosa
che
già prepara il velo da sposa ed il corredo per la sua casa.
Per
quella casa, fitto bloccato, tremila al mese, spese comprese
lui
la guardava tutto contento ed aspirava l’odor di cemento.
Già
tutto è pronto, le pubblicazioni, il rito in chiesa e i testimoni,
quand’ecco
arriva un tipo astratto con barba e baffi e avviso di sfratto.
E
quel palazzo un po’ malandato va demolito per farci un prato,
il
nostro amico la casa perde per una legge del piano verde.
Persa
la casa, fitto bloccato, la sua morosa l’ha abbandonato.
L’amore
è bello ma non è tutto e per sposarsi occorre un tetto.
Ora
quel prato è frequentato da qualche cane e qualche coppietta
e
lui ripensa con grande rimpianto a quella casa che amava tanto
Ma
quella casa ma quella casa ora non c’è più.
Ma quella casa ma
quella casa l’han buttata giù.
La Forza prova a “smontare” (non a
distruggere) la visione nostalgico-idilliaca dell’erba di una volta
contro le case di oggi.
In quelle case andranno a vivere persone
senza casa o con case non più adeguate.
L’ironia di Gaber qui è estrema, come estrema
è la sua fantasia che immagina cose estreme (case abbattute - negli anni Sessanta - per sostituirle con prati e giardini!?!). Ma è bello il contrasto tra immaginazione
volitiva alla Gaber contro immaginazione nostalgica alla Celentano!).
La Forza colpisce nel segno e mostra come non si debba essere
parziali, pena la perdita di armonia.
In genere si pensa alla Bellezza come modalità
che “tempera” e “adornna” la Forza (tipico lo scalpello che
indirizza la forza del maglietto). Ma anche la Forza ha compiti di
“attutire” certe caratteristiche della Bellezza.
P. S. = Per la cronaca il “Piano Verde” fu la legge del 1961 “Piano di Sviluppo Agricolo” per
rimodernare il settore agricolo a quel tempo ancora arretrato.
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