lunedì 24 dicembre 2018

Bruno Lauzi e Sergio Endrigo

Se Forza e Bellezza non sono in equilibrio non si costruisce nulla. E quindi sono parziali i punti di vista che privilegiano un paradigma a scapito dell’altro.

Una donna di nome Maria
È arrivata stanotte dal Sud
È arrivata col treno del sole
Ma ha portato qualcosa di più.
Ha portato due labbra corallo
E i suoi occhi son grandi così,
Mai nessuno che l’abbia baciata
A nessuno ha mai detto di sì.

Ha posato la cesta d’arance
E mi ha dato la mano perché
La portassi lontano per sempre,
La tenessi per sempre con me.
Io le ho dato la mano ridendo
E non gliel’ho lasciata mai più,
Poi siam corsi veloci nel vento
Per non farci trovare quaggiù.

La donna del sud è una canzone degli anni Sessanta scritta da Bruno Lauzi, cantautore genovese.
 
E’ un testo poetico, molto intrigante. In una grande stazione del nord una ragazza scende da un treno giunto da una lontana città meridionale, presumibilmente della Sicilia, suggerita dal cesto d’arance che lei – tipica bellezza mediterranea – ha portato con sé. Scesa dal treno si è incontrata con l’autore, è scoccata la scintilla e i due son fuggiti veloci nel vento per non farci trovare quaggiù.

E’ una vera e propria poesia in musica. Coinvolge l’ascoltatore, specie il giovane di cinquant’anni fa, facendo rivivere stati d’animo legate all’innamoramento, lo stadio della vita che immagina il futuro roseo, dalle difficoltà tutte superabili con un pizzico di buona volontà.
La ragazza, bellissima, candida, spontanea, simpatica, non fa in tempo a metter piede in terra e si trova già con un piede in Paradiso.

Il cantautore di oggi (cantante che canta le canzoni che compone) può essere considerato quello che anticamente era l’aedo in Grecia o il bardo nell’Europa celtica: mette in musica problemi, aspirazioni, difficoltà, successi. E Lauzi mette in musica il momento magico della vita che si unisce alla vita, il sogno della vita sognato da molti adolescenti degli anni Sessanta pre 1968, vero spartiacque del costume.

Situazione affascinante ma in un certo senso stilizzata e semplificata.

La ragazza scende dal treno. Chi ascolta non può non identificarsi in chi la prende per mano per correre verso il futuro. Il sognatore la immagina fresca e profumata; non gli interessa (non è rilevante) quanto è durato il viaggio, da dove è partita, perché ha viaggiato.

All’epoca i treni erano suddivisi in quattro categorie: accelerati (che fermavano in tutte le stazioni), diretti (fermavano solo nelle città meno piccole), direttissimi (fermavano nei capoluoghi di provincia) e rapidi (biglietto più costoso, fermavano nei capoluoghi di regione).

Se ben ricordo il direttissimo Palermo – Torino era chiamato il “treno del sole” ed era quello usato da chi passava direttamente dalla miseria del campo siciliano alla torinese fabbrica Fiat. Un viaggio lungo, che durava un giorno: non scendevi leggiadro e riposato.

Vecchie fotografie dell’epoca mostrano i veri e propri arrembaggi alla stazione di Palermo, con la gente che si affannava ad entrare persino dai finestrini alla caccia di un posto a sedere. Mostrano quelle foto le straboccanti valigie di cartone, legate con lo spago; rivelano fagotti con qualcosa di sostentamento durante il viaggio.

Altre foto mostrano alla stazione di Torino le stesse scene all’incontrario. In realtà nessuna ragazza avrebbe potuto posare le ceste d’arance sulla pensilina e fuggir nel vento: la calca lo avrebbe reso impossibile.

Il sogno poetico di una persona non deve necessariamente essere realistico, altrimenti non sarebbe un sogno. Del resto nessuno si è mai chiesto se la siepe di Recanati sia stata abbastanza alta o sufficientemente bassa e quanto lontano dal poeta e nemmeno se le trecce morbide di Ermengarda fossero state pulite o sporche. 

Sarebbero osservazioni fuori posto.

Ma la diffusione dei mezzi moderni di ascolto è più alta di una poesia sia pure celeberrima. Nessuno deduce dalla leopardiana donzelletta che vien dalla campagna o dal villano del Pascoli che pone dalle spalle gobbe la ronca e afferra la scodella la felicità e la serenità della vita di campagna.

Neanche dalla lauziana Maria dovremmo dedurre la “bellezza” dell’emigrazione e la felicità di quei viaggiatori.

Però il gran numero di ascoltatori raggiunti dalla canzone, molti dei quali senza i necessari parametri critici, potrebbe vedere in questo grande movimento verso il nord un aspetto quasi turistico oppure ludico piuttosto che un viaggio causato da fame e miseria.

A Lauzi rispose, sempre in canzone, Sergio Endrigo, altro cantautore di origini istriane.

Il treno che viene dal sud
Non porta soltanto Marie
Con le labbra di corallo
E gli occhi grandi così
Porta gente gente nata tra gli ulivi
Porta gente che va a scordare il sole
Ma è caldo il pane
Lassù nel nord

Nel treno che viene dal sud
Sudore e mille valigie
Occhi neri di gelosia
Arrivederci Maria
Senza amore è più dura la fatica
Ma la notte è un sogno sempre uguale
Avrò un casa
Per te per me

Dal treno che viene dal sud
Discendono uomini cupi
Che hanno in tasca la speranza
Ma in cuore sentono che
Questa nuova questa bella società
Questa nuova grande società
Non si farà

Endrigo di emigrazione se ne intendeva. Nato a Pola, riparò in Italia nel dopoguerra quando la popolazione italiana fu costretta a lasciare Istria e Dalmazia passati alla Jugoslavia. Sapevano per diretta esperienza quegli italiani che il loro non era un viaggio di piacere ma la fuga dalla morte, lasciando alle spalle tutto (casa, lavoro, amicizie) in quella che non era più la loro patria.

Endrigo canta ciò che Lauzi aveva taciuto o non aveva considerato rilevante per il suo sogno.

Le Marie sono giunte al nord non in cerca dell’amore, ma del pane caldo. Non hanno portato ceste di arance, ma valigie stracolme di qualunque cosa che avrebbe potuto essere utile.

Le Marie ieri erano ancora sul campo a lavorare e domani magari saranno alla Fiat alla catena di montaggio; altro che correre verso il sole!

Le Marie hanno un grande sogno: trovare lavoro e casa, e poter chiamare i familiari e i promessi sposi. Sistemarsi.

Le Marie hanno forza, sono la Forza. Le Marie hanno anche la Bellezza dei sogni, non la fantasticheria di correre verso il sol dell’avvenire: hanno la Bellezza della speranza, la speranz.

Allora è falsa la Maria di Lauzi mentre son vere le Marie di Endrigo?

No, non è possibile affermarlo. Sono due facce della stessa medaglia e, perciò, incomplete. La prima è certo Bellezza ma carente di Forza; le seconde son certo Forza, e la Bellezza verrà in prospettiva. Queste sono la spada del Copritore Interno e debbono ancora salire sulla scala curva; quella è sulla scala curva ma deve ricordare la spada del Copritore.

Solo con un giusto e armonico intreccio di Forza e Bellezza si potrà realizzare la speranza, il sogno della Speranza.

Forza e Bellezza; e Speranza.

La Speranza che spera è la speranza che sogna, che sa sognare e non fantasticare. E' la Speranza con i piedi per terra, che costruisce un poco alla volta ciò che sogna, che opera appunto con Forza e Bellezza.

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