Se Forza e Bellezza non sono in
equilibrio non si costruisce nulla. E quindi sono parziali i punti di
vista che privilegiano un paradigma a scapito dell’altro.
Una donna di nome MariaÈ arrivata stanotte dal SudÈ arrivata col treno del soleMa ha portato qualcosa di più.Ha portato due labbra coralloE i suoi occhi son grandi così,Mai nessuno che l’abbia baciataA nessuno ha mai detto di sì.Ha posato la cesta d’aranceE mi ha dato la mano perchéLa portassi lontano per sempre,La tenessi per sempre con me.Io le ho dato la mano ridendoE non gliel’ho lasciata mai più,Poi siam corsi veloci nel ventoPer non farci trovare quaggiù.
La donna del sud è una canzone
degli anni Sessanta scritta da Bruno Lauzi, cantautore genovese.
E’ un testo poetico, molto
intrigante. In una grande stazione del nord una ragazza scende da un
treno giunto da una lontana città meridionale, presumibilmente della
Sicilia, suggerita dal cesto d’arance che lei –
tipica bellezza mediterranea – ha portato con sé. Scesa dal treno
si è incontrata con l’autore, è scoccata la scintilla e i due son
fuggiti veloci nel vento per non farci trovare quaggiù.
E’ una vera e propria poesia in
musica. Coinvolge l’ascoltatore, specie il giovane di cinquant’anni
fa, facendo rivivere stati d’animo legate all’innamoramento,
lo stadio della vita che immagina il futuro roseo, dalle difficoltà
tutte superabili con un pizzico di buona volontà.
La ragazza, bellissima, candida,
spontanea, simpatica, non fa in tempo a metter piede in terra e si
trova già con un piede in Paradiso.
Il cantautore di oggi (cantante che canta le
canzoni che compone) può essere considerato quello che anticamente
era l’aedo in Grecia o il bardo nell’Europa celtica: mette in
musica problemi, aspirazioni, difficoltà, successi. E Lauzi mette in
musica il momento magico della vita che si unisce alla vita, il sogno
della vita sognato da molti adolescenti degli anni Sessanta pre 1968,
vero spartiacque del costume.
Situazione affascinante ma in un certo
senso stilizzata e semplificata.
La ragazza scende dal treno. Chi
ascolta non può non identificarsi in chi la prende per mano per
correre verso il futuro. Il sognatore la immagina fresca e
profumata; non gli interessa (non è rilevante) quanto è durato il
viaggio, da dove è partita, perché ha viaggiato.
All’epoca i treni erano suddivisi in
quattro categorie: accelerati (che fermavano in tutte le stazioni),
diretti (fermavano solo nelle città meno piccole), direttissimi
(fermavano nei capoluoghi di provincia) e rapidi (biglietto più
costoso, fermavano nei capoluoghi di regione).
Se ben ricordo il
direttissimo Palermo – Torino era chiamato il “treno del sole”
ed era quello usato da chi passava direttamente dalla miseria del
campo siciliano alla torinese fabbrica Fiat. Un viaggio lungo, che
durava un giorno: non scendevi leggiadro e riposato.
Vecchie fotografie dell’epoca
mostrano i veri e propri arrembaggi alla stazione di Palermo, con la
gente che si affannava ad entrare persino dai finestrini alla caccia
di un posto a sedere. Mostrano quelle foto le straboccanti valigie di
cartone, legate con lo spago; rivelano fagotti con qualcosa di
sostentamento durante il viaggio.
Altre foto mostrano alla stazione di
Torino le stesse scene all’incontrario. In realtà nessuna ragazza
avrebbe potuto posare le ceste d’arance sulla pensilina e fuggir nel
vento: la calca lo avrebbe reso impossibile.
Il sogno poetico di una persona non
deve necessariamente essere realistico, altrimenti non sarebbe un
sogno. Del resto nessuno si è mai chiesto se la siepe di Recanati
sia stata abbastanza alta o sufficientemente bassa e quanto lontano dal poeta e
nemmeno se le trecce morbide di Ermengarda fossero state pulite o
sporche.
Sarebbero osservazioni fuori posto.
Ma la diffusione dei mezzi moderni di
ascolto è più alta di una poesia sia pure celeberrima. Nessuno
deduce dalla leopardiana donzelletta che vien dalla campagna o
dal villano del Pascoli che pone dalle spalle gobbe la
ronca e afferra la scodella la
felicità e la serenità della vita di campagna.
Neanche dalla
lauziana Maria dovremmo dedurre la “bellezza” dell’emigrazione
e la felicità di quei viaggiatori.
Però il gran numero di
ascoltatori raggiunti dalla canzone, molti dei quali senza i
necessari parametri critici, potrebbe vedere in questo grande
movimento verso il nord un aspetto quasi turistico oppure ludico piuttosto
che un viaggio causato da fame e miseria.
A Lauzi rispose, sempre in canzone,
Sergio Endrigo, altro cantautore di origini istriane.
Il treno che viene dal sudNon porta soltanto MarieCon le labbra di coralloE gli occhi grandi cosìPorta gente gente nata tra gli uliviPorta gente che va a scordare il soleMa è caldo il paneLassù nel nord
Nel treno che viene dal sudSudore e mille valigieOcchi neri di gelosiaArrivederci MariaSenza amore è più dura la faticaMa la notte è un sogno sempre ugualeAvrò un casaPer te per me
Dal treno che viene dal sudDiscendono uomini cupiChe hanno in tasca la speranzaMa in cuore sentono cheQuesta nuova questa bella societàQuesta nuova grande societàNon si farà
Endrigo di emigrazione se ne intendeva.
Nato a Pola, riparò in Italia nel dopoguerra quando la popolazione
italiana fu costretta a lasciare Istria e Dalmazia passati alla
Jugoslavia. Sapevano per diretta esperienza quegli italiani che il loro non era un viaggio di
piacere ma la fuga dalla morte, lasciando alle spalle
tutto (casa, lavoro, amicizie) in quella che non era più la loro
patria.
Endrigo canta ciò che Lauzi aveva
taciuto o non aveva considerato rilevante per il suo sogno.
Le Marie
sono giunte al nord non in cerca dell’amore, ma del pane caldo.
Non hanno portato ceste di arance, ma valigie stracolme di
qualunque cosa che avrebbe potuto essere utile.
Le Marie ieri erano ancora sul campo a
lavorare e domani magari saranno alla Fiat alla catena di montaggio;
altro che correre verso il sole!
Le Marie hanno un grande sogno: trovare
lavoro e casa, e poter chiamare i familiari e i promessi sposi.
Sistemarsi.
Le Marie hanno forza, sono la Forza. Le
Marie hanno anche la Bellezza dei sogni, non la fantasticheria di
correre verso il sol dell’avvenire: hanno la Bellezza della
speranza, la speranz.
Allora è falsa la Maria di Lauzi
mentre son vere le Marie di Endrigo?
No, non è possibile affermarlo. Sono
due facce della stessa medaglia e, perciò, incomplete. La prima è
certo Bellezza ma carente di Forza; le seconde son certo Forza, e la
Bellezza verrà in prospettiva. Queste sono la spada del Copritore
Interno e debbono ancora salire sulla scala curva; quella è sulla
scala curva ma deve ricordare la spada del Copritore.
Solo con un giusto e armonico intreccio di Forza e Bellezza si potrà realizzare la speranza, il sogno della Speranza.
Forza e Bellezza; e Speranza.
La Speranza che spera è la speranza che sogna, che sa sognare e non fantasticare. E' la Speranza con i piedi per terra, che costruisce un poco alla volta ciò che sogna, che opera appunto con Forza e Bellezza.
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