martedì 11 dicembre 2018

La Forza del simbolo: la Melagrana

Tra i simboli muratori ve ne sono alcuni che mi colpiscono ed altri che mi lasciano piuttosto freddo.

Sono i due estremi che posso identificare da una parte nell’Oriente Eterno e dall’altra nella Melagrana.

Il simbolo è qualcosa che mette in movimento certe nostre energie che poi il Rito (personale o di gruppo o di una certa Istituzione) deve incanalare.

Se il simbolo non ci colpisce allora mette in moto poca o nessuna energia.

Il simbolo della melagrana non mi ha mai colpito più di tanto.

Sì, indica la fratellanza e lo stare assieme. Ma, appunto, stare assieme non vuol necessariamente dire fratellanza. I semi son vicini gli uni agli altri, ciascuno protetto da una scorza dura, quasi vicini e allo stesso tempo separati. Tutto il frutto è protetto da una scorza ancora più dura, che protege e separa, quasi che i semi fossero in una specie di forno della vita che protegge i germi delle future vite.

Ma è un simbolo che non sento, non mi colpisce.

Forse mi colpì l’aforisma di Gibran. Parla un seme di melagrana e dice della confusione che vi regna: ogni seme vuol sempre dire la sua. Quel seme alla fine lascia la melagrana per la mela cotogna: solo cinque semi e tutti silenziosi.

Probabilmente del simbolo melagrana ho sempre avvertito l’altra faccia, la valenza “negativa”: non esiste il tutto buono o il tutto cattivo.

La fratellanza è bella, ma rumorosa. E non solo.

Deve essere armonia, non sopportazione.

Ma se c’è chi sopporta significa pure che c’è chi si fa sopportare. E questa non è fratellanza e nemmeno tolleranza.

La tolleranza ha bisogno dell’armonia e dove c’è sopportazione manca proprio l’armonia.

La massoneria anglosassone ha un simbolo molto significativo proprio in grado di Maestro: l’alveare.

Il Rituale Duncan suggerisce riflessioni molto profonde sull'alveare.

È simbolo di industriosità, e raccomanda la pratica di questa virtù a tutti gli esseri creati, dal più alto serafino in cielo al più basso rettile che striscia nella polvere. Ci insegna che, come noi veniamo al mondo esseri razionali e intelligenti, così dovremmo essere operosi; mai seduti soddisfatti mentre i nostri compagni sono nel bisogno, quando è in nostro potere alleviare la loro posizione senza disagi per noi stessi.
Quando esaminiamo la natura, vediamo l'uomo, nella sua infanzia, più bisognoso di aiuto e più indifeso di una creazione bruta, lui per giorni, mesi e anni è del tutto incapace di fornire sostentamento a se stesso, di guardarsi dall'attacco delle belve della foresta, o di proteggersi dalle inclemenze del tempo.
Sarebbe piaciuto al grande Creatore del cielo e della terra, di aver fatto l'uomo indipendente da tutti gli altri esseri; ma, come la dipendenza è uno dei più forti legami della società, gli uomini sono stati dipendenti gli uni dagli altri per protezione e sicurezza, in quanto in tal modo possono avere migliori opportunità di adempiere agli obblighi di reciproco amore e amicizia. Così l'uomo è stato creato per una vita sociale e attiva, la parte più nobile del lavoro di Dio, e colui che sminuirà se stesso per non aggiungere al patrimonio comune di conoscenza e comprensione, può essere considerato un fannullone nell'alveare della natura, un membro inutile della società, e indegno della nostra protezione come massoni.

Nell’alveare regna armonia. Anzi è addirittura inconcepibile che non vi sia armonia.

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