Il racconto è ambientato nel luglio
1943. La guerra per l’Italia sta andando sempre peggio. Gli alleati
sono sbarcati in Sicilia e vengono accolti come liberatori.
L’esercito italiano in Sicilia non mostra grande combattività.
L’ambientazione è in una cittadina
della Campania. Ma non importa tanto il luogo fisico, tanto più che
il senso di avere ormai perso la guerra era ormai diffuso in tutti,
tranne in qualche frangia iper-ideologizzata.
Le strutture del partito (il partito
nazionale fascista), asse strategico del consenso al regime, erano
ormai in disfacimento In un sempre più diffuso atteggiamento ostile
verso la guerra il partito si dissolve: a nulla servirà il
velleitario ritorno alle origini, alla cosiddetta “rivoluzione
fascista” (che rivoluzione non fu che nella propaganda del regime).
Da qui parte il racconto, dal regime
ormai disfatto, dalla guerra ancora in corso ma ormai persa.
Quattro alti dirigenti del partito, che
hanno già avuto l’accortezza (e la possibilità a differenza della
gente comune!) di mettere al sicuro le proprie famiglie, stanno
discutendo sui luoghi dove “imboscare le già in salvo
famiglie”.
C’è sempre stata una grande retorica
sul “tengo famiglia” che giustificò e ha giustificato
certe scelte di sottomissione al potere del momento. “Tengo
famiglia” potrebbe essere il motto sulla bandiera di molti, di
tanti, troppi.
I gerarchi locali, specie i più
avvertiti, quelli che dalla crisi del regime hanno da perdere di più,
sono sulla via via del “disimpegno”, proprio quelli che più di
altri riuscirono ad ottenere, causa la posizione raggiunta,
privilegi e benefici (la dice lunga che proprio loro prima di tutti
abbiano cercato di mettere al sicuro le famiglie prima dell’inizio
dei più che probabili bombardamenti.
Non concordo sul giudizio di Rea sulla
“convalescenza” del paese, considerare molti italiani
“convalescenti” dopo la “malattia” ventennale del fascismo e
quindi ancora incerti sulle gambe con un senso dell’orientamento
incerto e pencolante.
No, non sono d’accordo. Quegli
italiani erano ben saldi e certi solo pochi anni prima. Saldi nella
loro Forza senza nessun intervento di Bellezza che avrebbe potuto
essere un valido vaccino contro la disarmonia che li aveva presi. Ci
voleva una guerra che stava per essere persa per svegliarli dal loro
sonno? Oppure restavano addormentati in attesa di un altro sonno?
No, questi piccoli gerarchi non mi
commuovono e nemmeno mi sento di essere solidale con loro: in prima
fila ai tempi “buoni” ed ora sempre in prima fila per defilarsi
(e ce la faranno, ce la faranno...).
Il partito arranca, si ingarbuglia.
Sogna di impossibili ritorni alle origini. Non capisce che la
mancanza di fiducia non è più verso il partito, ma ormai è verso
il ventennale regime. Sembra quasi che dopo un ventennio di sbornie
di Forza non abbia la minima capacità di accogliere l’intuizione
della Bellezza.
Nelle alte sfere decidon di mandare in
provincia degli ispettori a rincuorare i deboli, cioé inviare una
sorta di cavalieri dell’Apocalisse, personaggi che “avevano
ardentemente creduto, ma avevano commesso l’errore di scambiare la
politica della violenza per una lirica di D’Annunzio”. Ma se la
Bellezza (mancanza di Bellezza) si riduce a inventare nomi senza
senso e affidarsi a uomini senza senso vuol dire che il ciclo è
ormai terminato!
Erano ingenui quei “cavalieri
dell’Apocalisse”? Sì, certo, ma non solo. Li chiamerei dei
“minus habentes”, attivisti che non avevano capito il passaggio
dalla eccezionalità alla normalità, non avevano capito cosa fosse
successo e non capivano cosa stesse succedendo.
Sicuramente credevano in quelle idee,
ma appunto perché credevano nella violenza ma non nell’incontro
delle persone. Non cercavano di unire ciò che era sparso e disperso,
ma solo di colpire l’avversario, il nemico e di metterlo a tacere.
Eventualmente di eliminarlo. Era quella la loro strada e, limitati
come erano, non potevano vederne di altre. Ma per eliminare bisogna
aver con se la Forza, ma quella ormai non c’era più. Non erano
stati capaci di accogliere la Bellezza della vita e avevano scambiato
per Bellezza solo alcuni aspetti della Forza e si erano così posti
al di fuori del flusso della vita: una volta comparse utili, ora solo
comparse evanescenti.
Alla vigilia della fine del regime
quelle figure furono sguinzagliate in giro per l’Italia: ultima
illusione di mantenere in vita ciò che era ormai finito. Ultima
risorsa? No, ultimi tizi a disposizione: nella loro pochezza non
s’erano ancora accorti di ciò che ormai tutti avevano compreso.
Ecco così che il nostro “cav.”
Annibale giunge campione inaspettato e piomba nel bel mezzo della
feroce discussione dei quattro “disimpegnandi” sul luogo più
sicuro dove imboscare le già imboscate famiglie.
Annibale è venuto a sistemare le cose;
però non solo non ha capito cosa stesse succedendo nel paese ma
nemmeno capisce la situazione e la realtà delle cose...
(continua)
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