domenica 18 novembre 2018

Annibale e Gaetano 3

Il racconto è ambientato nel luglio 1943. La guerra per l’Italia sta andando sempre peggio. Gli alleati sono sbarcati in Sicilia e vengono accolti come liberatori. L’esercito italiano in Sicilia non mostra grande combattività.

L’ambientazione è in una cittadina della Campania. Ma non importa tanto il luogo fisico, tanto più che il senso di avere ormai perso la guerra era ormai diffuso in tutti, tranne in qualche frangia iper-ideologizzata.

Le strutture del partito (il partito nazionale fascista), asse strategico del consenso al regime, erano ormai in disfacimento In un sempre più diffuso atteggiamento ostile verso la guerra il partito si dissolve: a nulla servirà il velleitario ritorno alle origini, alla cosiddetta “rivoluzione fascista” (che rivoluzione non fu che nella propaganda del regime).

Da qui parte il racconto, dal regime ormai disfatto, dalla guerra ancora in corso ma ormai persa.

Quattro alti dirigenti del partito, che hanno già avuto l’accortezza (e la possibilità a differenza della gente comune!) di mettere al sicuro le proprie famiglie, stanno discutendo sui luoghi dove “imboscare le già in salvo famiglie”.

C’è sempre stata una grande retorica sul “tengo famiglia” che giustificò e ha giustificato certe scelte di sottomissione al potere del momento. “Tengo famiglia” potrebbe essere il motto sulla bandiera di molti, di tanti, troppi.

I gerarchi locali, specie i più avvertiti, quelli che dalla crisi del regime hanno da perdere di più, sono sulla via via del “disimpegno”, proprio quelli che più di altri riuscirono ad ottenere, causa la posizione raggiunta, privilegi e benefici (la dice lunga che proprio loro prima di tutti abbiano cercato di mettere al sicuro le famiglie prima dell’inizio dei più che probabili bombardamenti.
Non concordo sul giudizio di Rea sulla “convalescenza” del paese, considerare molti italiani “convalescenti” dopo la “malattia” ventennale del fascismo e quindi ancora incerti sulle gambe con un senso dell’orientamento incerto e pencolante.

No, non sono d’accordo. Quegli italiani erano ben saldi e certi solo pochi anni prima. Saldi nella loro Forza senza nessun intervento di Bellezza che avrebbe potuto essere un valido vaccino contro la disarmonia che li aveva presi. Ci voleva una guerra che stava per essere persa per svegliarli dal loro sonno? Oppure restavano addormentati in attesa di un altro sonno?

No, questi piccoli gerarchi non mi commuovono e nemmeno mi sento di essere solidale con loro: in prima fila ai tempi “buoni” ed ora sempre in prima fila per defilarsi (e ce la faranno, ce la faranno...).

Il partito arranca, si ingarbuglia. Sogna di impossibili ritorni alle origini. Non capisce che la mancanza di fiducia non è più verso il partito, ma ormai è verso il ventennale regime. Sembra quasi che dopo un ventennio di sbornie di Forza non abbia la minima capacità di accogliere l’intuizione della Bellezza.

Nelle alte sfere decidon di mandare in provincia degli ispettori a rincuorare i deboli, cioé inviare una sorta di cavalieri dell’Apocalisse, personaggi che “avevano ardentemente creduto, ma avevano commesso l’errore di scambiare la politica della violenza per una lirica di D’Annunzio”. Ma se la Bellezza (mancanza di Bellezza) si riduce a inventare nomi senza senso e affidarsi a uomini senza senso vuol dire che il ciclo è ormai terminato!

Erano ingenui quei “cavalieri dell’Apocalisse”? Sì, certo, ma non solo. Li chiamerei dei “minus habentes”, attivisti che non avevano capito il passaggio dalla eccezionalità alla normalità, non avevano capito cosa fosse successo e non capivano cosa stesse succedendo.
Sicuramente credevano in quelle idee, ma appunto perché credevano nella violenza ma non nell’incontro delle persone. Non cercavano di unire ciò che era sparso e disperso, ma solo di colpire l’avversario, il nemico e di metterlo a tacere. Eventualmente di eliminarlo. Era quella la loro strada e, limitati come erano, non potevano vederne di altre. Ma per eliminare bisogna aver con se la Forza, ma quella ormai non c’era più. Non erano stati capaci di accogliere la Bellezza della vita e avevano scambiato per Bellezza solo alcuni aspetti della Forza e si erano così posti al di fuori del flusso della vita: una volta comparse utili, ora solo comparse evanescenti.

Alla vigilia della fine del regime quelle figure furono sguinzagliate in giro per l’Italia: ultima illusione di mantenere in vita ciò che era ormai finito. Ultima risorsa? No, ultimi tizi a disposizione: nella loro pochezza non s’erano ancora accorti di ciò che ormai tutti avevano compreso.

Ecco così che il nostro “cav.” Annibale giunge campione inaspettato e piomba nel bel mezzo della feroce discussione dei quattro “disimpegnandi” sul luogo più sicuro dove imboscare le già imboscate famiglie.

Annibale è venuto a sistemare le cose; però non solo non ha capito cosa stesse succedendo nel paese ma nemmeno capisce la situazione e la realtà delle cose...

(continua)

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