venerdì 16 novembre 2018

Annibale e Gaetano 2

Tramortito, il federale, riattaccando il ricevitore e cominciando a balbettare: « Scusi, eccellenza... », si vide assalire da un grido:
« Che cosa è mai questo lei? Ti diferirò al consiglio di disciplina. Siamo al lei in questa città di felloni? » E rivolgendosi anche agli altri « Dove avete cacciato le vostre uniformi, dove? Doveee? Di corsa, via, andate a casa e ritornate immantinenti, in pieno assetto rivoluzionario. Voglio eseguire un’ispezione capillare e porre in grande rilievo la cerimonia di questa sera. Se necessario suoneremo le campane. Capito? ».

Il federale, il vice federale, Califano e Gallina da parecchi giorni vestivano in borghese. Non potendo fuggire, cercavano di farsi dimenticare. Ora, altro era poter dire davanti a un tribunale: “ Si, ci avevo creduto, ma fin dal mese di aprile, che dico, fin dal mese di gennaio “ (non sarebbero stati li a sottilizzare...) “ mi ero tolto la divisa, restando al mio posto come un funzionario dello stato e per lo stato ”; altro discorso ammettere d’essere rimasti fino all’ultima ora in uniforme, senza mai compiere un tentativo di rottura con il doppio gioco.

Quel folle, no, non ci voleva. Bisognava salvare il popolo di B. Bisognava risparmiargli il battesimo del foco e il lavacro cruento, come diceva il Cavaliere. Le fiaccole? Il Mar Mediterraneo era pieno zeppo di portaerei e sarebbe bastata la fiammella di un lumino a far divampare l’incendio.

Questo il discorso press’a poco che il federale tenne ai suoi compari.

« Intanto, che facciamo? ».

« Faremo il suo gioco. Suoneremo anche noi le nostre campanelle » disse il federale. « Per ora andiamo a casa. Vestiamoci. Ritorneremo in federazione con le tendine della macchina abbassate. Poi si vedrà. Ho fiducia nel mio destino. Tra mezz’ora tutti qua. Sono le 13 e 19, alle 13 e 49 ci presenteremo a quel folle e cercheremo di farlo ragionare con le buone o con le cattive. Ci sono molte cantine in federazione e come albergo a un eroe come lui non dovrebbe dispiacere. Che ne dite? ».

Il vice federale Califano e Gallina annuirono e si sciolsero.

Nel frattempo il nostro Cavaliere non se n’era stato con le mani in mano.

Lasciata la grandiosa camera di consiglio si era lanciato per i corridoi. Apriva e chiudeva le porte di tutte le stanze che gli capitavano sott’occhio e non riusciva a capire perché fossero deserte e alcune anche in disordine come chi, per un vento straordinario, lascia tutto come si trova e scappa. Disceso al piano rialzato gli si parò davanti un altro lungo, largo e arioso corridoio, ma ancora più vuoto degli altri. “ Cosa succede “, pensò il Cavaliere. “ Oggi è ben un giorno feriale e questi mangia-stipendi hanno fatto vacanza? Stilerò subito un rapporto da inviare a Roma. Voglio i nomi dei centoventi impiegati “. E procedendo nell’ispezione esclamava: “ Guarda che palazzi si sono fatti costruire, tutto marmo, senza risparmio. La è proprio una bella retrovia... “. A questo punto senti il tonfo di un timbro.
Non si era sbagliato. In uno sgabuzzino, in fondo, c’era un vecchietto che timbrava alcune circolari in partenza. Il Cavaliere si stropicciò gli occhi come a una distorta visione e gridò:
« Gaetano, sei tu Gaetano Amatruda? ».

« Sono io e voi, chi siete? » rispose il vecchietto, scattando nel fiero saluto regolamentare.

« Sono Annibale, Annibale Savina. Non ricordi? Il covo a Milano? Le battute in Romagna contro i vili? Il bivacco a Roma? Ne abbiamo passate di belle, eh! ».

« Annibale, Annibale mio, oh che gioia rivederti. Donde vieni? ».

« Da Roma, inviato personalmente da Lui ».

«E perché fare in questa morta gora? ».

« A metterla in subbuglio, a dar calore e foco agli egri petti ».

« Ma cosa vuoi riscaldare, amico mio. Neanche un incendio potrebbe ottenere i giusti effetti. Sono tutti tremanti di paura. Non vedi dove mi hanno cacciato per non essere disturbati neanche dalla mia presenza?... ».

« Camerata, fratello, non ti preoccupare. Ora siamo in due, siam forti e intrepidi. Ci vendicheremo. Li faremo rigare diritto. Li ho già spediti alle loro case con l’ingiunzione di ritornar qui immantinenti e in perfetta uniforme. Debbono preparare la piazza a uno storico discorso, con fiaccolata finale. Anzi, sarebbe grazioso che fossi tu a presentarmi all’avido pubblico ».

« Magnifico ».

« Il popolo è con noi » disse il Cavaliere.

« Se ritorniamo in mezzo a loro, sarà di nuovo con noi » rispose esultando Gaetano che, dopo anni e anni di umiliazioni, ritrovava un amico fiero e rotto a ogni avventura.

Intanto le ore passavano e dei compari neanche una gamba, una mano o soltanto un fantasma. Per fortuna, Annibale e Gaetano si erano dimenticati del mondo, esaltandosi ai ricordi del passato. Si erano tolte le giacche e, ora, in bretelle e senza cravatta come al tempo della marcia si sentivano a loro agio. Felici e contenti mangiarono pane e mortadella e tra un boccone e l’altro ricordavano la memorabile visita compiuta al Vittoriale, visita a cui aveva voluto partecipare anche lui e nella sua forma migliore, d’antiborghese nato e cresciuto e come loro amante dei buoni versi.

Annibale:
O Miramare, che di foschi ondeggi
frassini al vento, murmuranti e lungi...

Gaetano:
Sol’io combatterò
procomberò sol’io.

Infine si alzarono e, come in un duetto all’opera, gridarono:

« Evviva, evviva ».

Placàti, Gaetano disse:

« Io non lo vedo che saran forse tre lustri. Una volta gli spedii una lettera senza ottenere risposta. Ne rimasi ferito e ora son quaggiù solo per l’antica fede ».

Annibale si commosse profondamente e per confortarlo rispose:

« Vedessi com’è ridotto. Guance infossate, occhi spiritati, mani tremanti. Fa pena. L’aver bevuto sino in fondo l’amaro calice gli ha fatto bene, gli ha giovato, gli ha ridato la grande memoria eroica. Ha pianto nelle mie braccia, dicendomi: “Pochi fummo e pochi siamo, ma salveremo la patria lo stesso “ ».

« È comodo però ricordarsi dei veri amici nel pericolo » commentò Gaetano.

Annibale non volle trattare questo tema e rispose:

« Credimi, le sue idee erano anche le mie. Forse sono più mie che sue. E poiché sono mie io le seguo e se lui non mi seguisse io tratterei anche lui come ho trattato questi cialtroni... A proposito, che ora si è fatta? Non voglio credere per davvero che siano dei felloni ».

« Sono pigri » disse Gaetano « ma finiranno per spuntare ».

Fino all’ultimo ingenui, Gaetano come Annibale, Annibale come Gaetano, Gaetano aggiunse:

« Poveri ragazzi, abbiamo pensato male di loro e forse ci stanno cercando ».

« Allora andiamo a cercarli noi », propose Annibale.

« Andiamo ».

Ma era tardi, molto tardi. L’energia elettrica mancava e Annibale propose di accendere due fiaccole. Gaetano ne conservava un paio di dozzine in vista del giorno della vittoria. Le trovarono, le spuntarono, le accesero e, ispezionato l’edificio e non trovando anima viva, uscirono alla strada, lacerando l’oscurità con le sinistre fiamme, al grido di:
All’armi, all’armi,
all’armi, siam...

A quella fiammata, una fontana di scintille, gli aerei in agguato si precipitarono a stormi su B., che, alfine, riceveva il battesimo del fuoco; con grande gioia di Annibale e Gaetano di cui ben presto, travolti dalle gigantesche esplosioni, si perse ogni traccia mortale.

Press’a poco nello stesso momento il federale, il vice federale, Califano e Gallina potevano riabbracciare, al riparo di una solitaria chiostra di monti, le rispettive famiglie. La moglie del federale non voleva ricevere il marito, irriconoscibile. Nel tempo di una notte, per la paura, era diventato canuto.

Domenico Rea

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