Lettura personale e tendenziosa dell'ode carducciana
1866.
Giosuè Carducci è tra i sette fondatori della Loggia Felsinea
(Bologna)
1867.
La Loggia Felsinea lascia il Grande Oriente d'Italia e aderisce al
Rito Simbolico Italiano.
1868.
Il Rito Simbolico aderisce al Grande Oriente d'Italia. Carducci non
viene gradito.
1868
- 1886. Carducci non risulta iscritto a nessuna Loggia bolognese, con
le quali però mantiene numerosi contatti
1886.
Carducci, su invito del Gran Maestro Lemmi, viene affiliato alla
Loggia P2.
La
poesia fu iniziata (le prime quattro strofe, vv. 1-21) nel 1874 e
completata nel 1886.
- I cipressi che a Bólgheri alti e schietti
- van da San Guido in duplice filar,
- quasi in corsa giganti giovinetti
- mi balzarono incontro e mi guardar.
I
cipressi sono in
duplice filar,
come le due file delle Colonne del Tempio. L'orientamento da San
Guido (sulla vecchia Aurelia) a Bolgheri è Ovest - Est, quindi le
due file di cipressi indicano le due Colonne del Settentrione e del
Meridione.
- Mi riconobbero, e— Ben torni omai —
- Bisbigliaron vèr' me co 'l capo chino —
- Perché non scendi ? Perché non ristai ?
- fresca è la sera e a te noto il cammino.
v.
5. Mi riconobbero. E come avrebbero potuto dimenticarsi di lui, che
molti o pochi non avevano voluto rientrasse nel Grande Oriente?
Oppure, più significativamente, riconoscono il fratello che si era
incamminato su altre strade e che per un attimo incrocia il proprio
cammino (per caso? per desiderio?) con loro.
v.
8. Conosci bene il cammino. E non intendiamo solo la strada per il
ritorno tra le Colonne (appartenenza amministrativa che può essere
utile ma non fondamentale), bensì il cammino (questo sì
fondamentale) della vita.
- Oh sièditi a le nostre ombre odorate
- ove soffia dal mare il maestrale:
- ira non ti serbiam de le sassate
- tue d'una volta: oh non facean già male!
vv.
10, ecc, 41. Maestrale, mare, vento, risse nel petto, quercia. Sono
immagini che richiamano i quattro elementi (aria, acqua, terra e
fuoco). Ritengo però improbabile che sia un simbolismo
deliberatamente inserito. Carducci mi sembra lontano da certe
tematiche. Vero è, però, che i quattro elementi erano richiamati
nel rituale scozzese di iniziazione al primo grado (e Carducci era
scozzese) e non si può escludere una loro "assimilazione".
E' comunque probabile che lo schema dei quattro elementi derivi da un
archetipo fondamentale che la sensibilità del poeta riesce a captare
indipendentemente dalla massoneria.
v.
11. Il poeta immagina che i rancori del passato siano stati
dimenticati e superati.
- Nidi portiamo ancor di rusignoli:
- deh perché fuggi rapido cosí ?
- Le passere la sera intreccian voli
- a noi d'intorno ancora. Oh resta qui! —
I
versi descrivono una armonia della vita nella quale il Fratello
separato potrebbe inserirsi.
- — Bei cipressetti, cipressetti miei,
- fedeli amici d'un tempo migliore,
- oh di che cuor con voi mi resterei —
- Guardando lor rispondeva — oh di che cuore !
Qui
terminano i versi scritti nel 1874. I versi seguenti vengono ripresi
nel 1886, all'epoca della sua affiliazione alla Loggia Propaganda 2.
Ci domandiamo: scrivendoli, Carducci pensò ai ai Fratelli Massoni?
Non ho la risposta; ma gli indizi sono tanti. Accontentiamoci della
domanda senza risposta e cogliamo il fascino dell'indefinito e del
non risposto.
v.
18. Fedeli
amici.
Sono i Fratelli Cipressi?
- Ma, cipressetti miei, lasciatem'ire:
- or non è piú quel tempo e quell'età.
- Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
- ma oggi sono una celebrità.
vv.
21-28. Sembra quasi ricalcare la risposta alla Tegolatura. Io sono un
uomo arrivato (una celebrità);
sono scrittore; ho molte virtù; non sono più un birichino
(contestualizzando, il termine oggi si è caricato di un significato
affettuoso ed è rivolto ai bimbi un po' troppo vivaci, mentre un
tempo prevaleva il senso negativo. Lo si riteneva o da buricco
= saltimbanco o, preferibile, da bric
= briccone), non tiro sassi alle piante (ai Fratelli).
- E so legger di greco e di latino,
- e scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
- non son piú, cipressetti, un birichino,
- e sassi in specie non ne tiro piú.
- E massime a le piante. — Un mormorio
- pe' dubitanti vertici ondeggiò
- e il dí cadente con un ghigno pio
- tra i verdi cupi roseo brillò.
La
professione del poeta non appare creduta o credibile (dubitanti,
ghigno),
ma sembra prevalere il sentimento di affetto (ghigno
pio,
gentil
pietade
del v. 34))
piuttosto che quello di giustizia del rifiuto. Insomma: i Fratelli
massoni non sembrano dar credito alla confessione carducciana, tanto
che il Nostro riuscì a rientrare nel GOI solo per intercessione del
Gran Maestro.
- Intesi allora che i cipressi e il sole
- una gentil pietade avean di me,
- e presto il mormorio si fe' parole:
- — Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.
vv.
36 sgg. La risposta viene da "chi sa". Il poeta ha
enunciato vantaggi solo materiali o al massimo morali. Nel "vero
mondo" un
pover uom tu se'.
Sei in basso, nella (per usare un termine muratorio) profanità. I
Fratelli Cipressi sono molto chiari e contrappongono il "vero
mondo" alle illusioni del mondo dei rei
fantasmi
(v. 48).
- Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
- che rapisce de gli uomini i sospir,
- come dentro al tuo petto eterne risse
- ardon che tu né sai né puoi lenir.
Il
mondo dei cipressi ti dirà come superare le eterne risse. Tu puoi
contare su questo mondo, saldo e stabile come una quercia, armonico
ed in sintonia con il tutto.
- A le querce ed a noi qui puoi contare
- l'umana tua tristezza e il vostro duol.
- Vedi come pacato e azzurro è il mare,
- come ridente a lui discende il sol!
Qui,
nel "nostro mondo" potrai abbandonare l'umana
tristezza
e il vostro
duol.
Qui potrai cogliere l'armonia del mare e del tramonto.
- E come questo occaso è pien di voli,
- com'è allegro de' passeri il garrire!
- A notte canteranno i rusignoli:
- rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
Qui
puoi ascoltare i rosignoli: impara ad ascoltarli!
- i rei fantasmi che da' fondi neri
- de i cuor vostri battuti dal pensier
- guizzan come da i vostri cimiteri
- putride fiamme innanzi al passegger.
- Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
- che de le grandi querce a l'ombra stan
- ammusando i cavalli e intorno intorno
- tutto è silenzio ne l'ardente pian,
v.
53. Mezzo
il giorno.
Fr. 2° Sorvegliante, che ora è? Mezzogiorno in punto.
v.
56. Lo spazio sacro dei lavori è stato circoscritto e riorganizzato.
Il mondo profano non vi può più accedere: per gli operai del Tempio
tutto
è silenzio
nel mondo profano, che è stato "chiuso fuori" dal Tempio.
Il sacro nasce dal silenzio interiore.
- ti canteremo noi cipressi i cori
- che vanno eterni fra la terra e il cielo:
- da quegli olmi le ninfe usciran fuori
- te ventilando co 'l lor bianco velo;
vv.
57-58. Il canto tra la terra e il cielo è il lavoro alla Gloria del
Grande Architetto. Il lavoro muratorio è corale, di gruppo.
- e Pan l'eterno che su l'erme alture
- a quell'ora e ne i pian solingo va
- il dissidio, o mortal, de le tue cure
- ne la diva armonia sommergerà. —
v.
63. Il dissidio
degli affanni umani verrà risolto nell'armonia del lavoro di Loggia,
coerente con l'armonia della natura.
- Ed io—Lontano, oltre Appennin, m'aspetta
- la Tittí — rispondea; — lasciatem'ire.
- È la Tittí come una passeretta,
- ma non ha penne per il suo vestire.
v.
65. Il poeta pare respingere la proposta dei cipressi. La sua
materialità si oppone e fa resistenza, e richiama affetti e passioni
del mondo profano (attenzione! non sono passioni basse, da
respingere, ma sentimenti ed affetti da trasformare. Non sono
negatività).
- E mangia altro che bacche di cipresso;
- né io sono per anche un manzoniano
- che tiri quattro paghe per il lesso.
- Addio, cipressi! addio, dolce mio piano! —
v.
72. Il poeta rifiuta l'invito e i Fratelli Cipressi gli porgono
l'immagine della Sapienza che scende dall'Oriente.
- — Che vuoi che diciam dunque al cimitero
- dove la nonna tua sepolta sta? —
- E fuggíano, e pareano un corteo nero
- che brontolando in fretta in fretta va.
- Di cima al poggio allor, dal cimitero,
- giú de' cipressi per la verde via,
- alta, solenne, vestita di nero
- parvemi riveder nonna Lucia:
Nonna
Lucia (per ora; poi: signora) appare di
cima al poggio,
cioè in alto, con l'immediata idea dello scendere.
- la signora Lucia, da la cui bocca,
- tra l'ondeggiar de i candidi capelli,
- la favella toscana, ch'è sí sciocca
- nel manzonismo de gli stenterelli,
Nonna
Lucia ora diventa la
signora Lucia,
assumendo una chiara veste simbolica. Per comprendere bene esaminiamo
la costruzione del periodo, croce degli studenti obbligati alla
spiegazione letterale. Il periodo va correttamente inteso così: la
signora Lucia, dalla bocca della quale (tra l'ondeggiare dei bianchi
capelli) la favella toscana (così sciocca nel manzonismo degli
stenterelli) discendeva canora. Ma nella lettura poetica non è
peregrino che il canora
discendea
venga attribuito alla signora Lucia (e non alla favella toscana),
cioè: la
signora Lucia
(ecc. ecc.) canora
discendea
eccetera. E' sbagliato? Certo, ma è errore spontaneo. E soprattutto
fa discendere di cima al poggio direttamente la signora Lucia, che
assume così nel simbolismo muratorio la funzione della sapienza del
Maestro Venerabile.
Osserviamo
inoltre che Lucia deriva etimologicamente da Lux, la luce, etimo
sostanziale del simbolismo muratorio.
- canora discendea, co 'l mesto accento
- de la Versilia che nel cuor mi sta,
- come da un sirventese del trecento,
- piena di forza e di soavità.
v.
88. Forza e soavità sono due archetipi muratori, la Forza e la
Bellezza, che unitamente alla Sapienza informano i lavori di Loggia.
- O nonna, o nonna! deh com'era bella
- quand'ero bimbo! ditemela ancor,
- ditela a quest'uom savio la novella
- di lei che cerca il suo perduto amor!
v.
91. Il poeta ribadisce il senso dei tre pilastri. La signora Lucia
(Forza e Bellezza) parla all'uom
savio
(la Sapienza). Ma qui savio può avere anche una sfumatura negativa:
conosceva il percorso del viaggio, ma non ha accettato il cammino nel
Tempio.
- — Sette paia di scarpe ho consumate
- di tutto ferro per te ritrovare:
- sette verghe di ferro ho logorate
- per appoggiarmi nel fatale andare:
vv.
93 sgg. E' una versione della fiaba del Re Porco. Per sfuggire ad un
incantesimo la ragazza dovrà per sette anni consumare sette paia di
scarpe di ferro e sette verghe sempre di ferro; dovrà anche riempire
di lacrime sette fiasche e svegliare il suo amato prima del canto del
gallo.
Qui
però sembra quasi lo svolgimento di un rituale particolare e non
possiamo non rilevare che il sette è il numero del Maestro. Potrebbe
essere riferito alla situazione personale del Poeta, che da tempo
(sette
lunghi anni?)
ha chiesto di rientrare, il gallo ormai canta, ma non ha ancora
ricevuto la sospirata risposta?
- sette fiasche di lacrime ho colmate,
- sette lunghi anni, di lacrime amare:
- tu dormi a le mie grida disperate,
- e il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
v.
100. Il gallo compare nel Gabinetto di Riflessione. Incita il
recipiendario nel suo itinere. Ma se il gallo canta e non
ti vuoi svegliare?
Beh, il fallimento è vicino.
- — Deh come bella, o nonna, e come vera
- è la novella ancor! Proprio così.
- E quello che cercai mattina e sera
- tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Ecco,
l'intuizione giunge improvvisamente: qui prosegue il cammino. Il
viaggiatore giunge alla consapevolezza del percorso, che continua
sotto
questi cipressi
(v. 105), tra i Fratelli.
- sotto questi cipressi, ove non spero,
- ove non penso di posarmi piú:
- forse, nonna, è nel vostro cimitero
- tra quegli altri cipressi ermo là su.
- Ansimando fuggía la vaporiera
- mentr'io cosí piangeva entro il mio cuore;
- e di polledri una leggiadra schiera
- annitrendo correa lieta al rumore.
Terminano
le sensazioni e i ricordi: ritorniamo al quotidiano. La vaporiera
continua il suo viaggio, insensibile ai drammi di chi trasporta. Il
Poeta non scende (e come potrebbe? Non è ancora stato accettato dai
Fratelli). Il mondo quotidiano continua a vivere nell'indifferenza.
C'è una indifferenza "giovanile"(la mandria di puledri,
lieti ed esuberanti) che potrebbe nella maturità trasformarsi in
altro; e c'è una indifferenza per così dire "esistenziale"
indicata dall'asin
bigio
che continua apatico e impassibile il suo triste pasto (ma non è
nemmeno un pasto, quanto un rodere, un mesto rosicchiare che non
appaga nemmeno lo stomaco), chiuso in ciò che crede saggezza e che
invece è anchilosi della mente e del corpo.
- Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
- rosso e turchino, non si scomodò:
- tutto quel chiasso ei non degnò d'un guardo
- e a brucar serio e lento seguitò.
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