lunedì 1 marzo 2010

9.6.5 Perdono

La nozione di perdono è implicita nel cristianesimo, probabilmente introdotta dall’espressione di Gesù: Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno (Luca 23 34).

La visione cristiana appare coerente con un certo senso di «buonismo» già presente alla nascita della nuova religione. Intendiamoci: può sicuramente essere un progresso per i tempi storici e sicuramente è un sentimento che permette una convivenza migliore. Ma il camminatore non può accontentarsi di sentimentalismi.

Che significa perdono?

Anche il perdono è un legarsi al mondo dell’impermanente; può essere compartecipazione con chi ti ha fatto un torto, ma sempre nell’impermanente.

Il perdono cristiano è coerente con l’etica “della punizione e della premiazione”, mentre il buddhista verte sul “controllo” del lavoro svolto. Il perdono buddhista infatti è astensione da passioni fonti di dolori e gioie. «Quelli che mi danno dolore e quelli che mi danno gioia, io sono uguale verso di tutti; non conosco né inclinazione né odio. Nella gioia e nel dolore resto impassibile, nell’onore e nell’assenza d’onore, ovunque io resto uguale. E’ questa la perfezione della mia inalterabilità d’animo» (cit. in Hermann Oldenberg, Budda, Milano, 1937, p. 327).

L’impassibilità e l’inalterabilità d’animo non sono disinteresse per gli altri, ma concentrazione verso il proprio lavoro spirituale, concentrazione che non ammette deroghe o deviazioni.

Ciò che pare disinteresse per gli altri (sembianza che sembra superata nel cristianesimo – apparentemente superata, aggiungo io, perché sotto la veste di altruismo potrebbe celarsi un egoismo ancora più sottile e ambiguo) viene temperato con la presenza del Bodhisattva, di quegli spiriti, cioè che ad un passo dal Nirvana si fermano per aiutare gli altri a percorrere il cammino.

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