giovedì 25 febbraio 2010

9.6.4 Il cristianesimo e la storia

Il cristianesimo è metafisica, da cui segue una prassi operativa, che prende significato da quella.

Se per esempio Buddha non è unico, ma ne sono esistiti molti, e altri ne esisteranno (chiunque può raggiungere l’illuminazione e diventare Buddha – se ne ha le capacità), la figura di Gesù invece, come emerge dalla religione cristiana, non può che essere unica, pena la sua autodistruzione.

Buddha è l’uomo che si risveglia, e può essere chiunque: io, tu, lui, l’altro… Gesù nel cristianesimo è dio che scende sulla terra, e ciò non può essere che un atto unico e irripetibile. Dopo Gesù qualunque altra ierofania non può accadere che nel suo solco, pena la distruzione della religione “cristianesimo”.

Mi spiego. La religione cristiana (in realtà paolina) nasce con un profondo senso escatologico di attesa: la parusia è ritenuta imminente, al più entro pochi anni. Il cristiano delle origini l’attende entro il corso della propria vita: la promessa di Gesù è chiarissima ( Marco 9 1: Diceva loro: «In verità vi dico che alcuni di coloro che sono qui presenti non gusteranno la morte, finché non abbiano visto il regno di Dio venuto con potenza». Giovanni 21 22: Gesù gli rispose: «Se voglio che lui rimanga finché io venga, che te ne importa? Tu seguimi!».). La resurrezione è intesa come rinascere qui, con il corpo fisico dopo la morte, e quindi diventa sconfitta della morte fisica. La promessa è, per la prima volta nella storia, per tutti, non solo per pochi privilegiati, sia pure i migliori. Il concetto di immortalità dell’anima e di sopravvivenza post mortem non è ebraico, ma ellenizzante e aristocratico. Con il cristianesimo invece la sopravvivenza è dispensata a tutti: è sufficiente avere fede (Per esempio cfr. Romani 1 16-17: Infatti io non mi vergogno dell'evangelo di Cristo, perché esso è la potenza di Dio per la salvezza, di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco. Perché la giustizia di Dio è rivelata in esso di fede in fede, come sta scritto: «Il giusto vivrà per fede»).
[Ma Quinzio osserva (I vangeli della domenica, Milano, 19983, p. 27): La salvezza degli uomini appare, non destinata a pochi, ma di fatto capace di salvare solo pochi, come è scritto nel Vangelo di Matteo: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto invece stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (7, 13-14).]
Passano in secondo piano o non assumono la stessa rilevanza il comportamento (le opere prescritte dalla Legge mosaica, per gli ebrei) o l'aristocrazia di stirpe (per esempio l'appartenenza a gruppi limitati di iniziati, per i provenienti dal mondo pagano). Si può quasi affermare che con il cristianesimo-paolinismo princìpi prima riservati a pochi vengono “allargati” a tutti, e quindi scaturiscono susseguenti comprensioni distorte (la resurrezione dal piano simbolico viene trasposta a quello fisico).

Il mancato avverarsi della “venuta del Regno” porta la chiesa nascente come struttura organizzata a spostare prima l’evento nel futuro, poi – visto che non si poteva affermare che la storia andasse verso quell’obiettivo – nel passato, che avrebbe visto storicamente verificarsi gli eventi narrati dai documenti canonici. Di qui l’esigenza di rendere effettivamente accaduti quegli avvenimenti e di insistere dogmaticamente sulla verità storica dei vangeli. In un certo senso si può vedere nel cristianesimo più che una anticipazione o promessa al compimento del tempo piuttosto la riaffermazione quasi nostalgica di un passato escatologico in cui certi fatti si sono effettivamente verificati: la salvezza si è storicamente compiuta non illud tempus, ma in quel tempo storico, la Palestina provincia romana al tempo di Tiberio.
[Se si intende il cristianesimo come una religione positiva, che ha origine da fatti storicamente accaduti, allora la crisi nasce se quei fatti non sono accaduti oppure sono accaduti in modo diverso. E’ significativa la risposta di un componente la ML Il 13simo Apostolo ai miei dubbi sulle manipolazioni storiche di Paolo: Carissimo Maurizio, se la tua impostazione è giusta (il "se" non si riferisce alla tua competenza ma alla mia impossibilità di entrare nel dibattito per "ignoranza"), che cioè "sia ormai accertato, che la narrazione storica dei primi documenti (leggi i canonici) non è attendibile", non si può sorvolare sulla crisi che ne può derivare. Tu citi il Buddhismo. Che Buddha sia esistito veramente è stato accertato dagli studiosi occidentali, ma per gli orientali, cioè per i "fedeli" di Buddha la cosa non è mai stata importante. Per gli orientali la spiritualità, il dharma, è un cammino verso la trascendenza e Buddha è soltanto un uomo che ha indicato una strada più "efficace" di altre, non più vera. Libera concorrenza quindi. Per noi è diverso. Il Vangelo si è sempre pensato che fosse la narrazione storica del Dio incarnato che ha dettato una verità oggettiva, non sindacabile da nessuno, che non può essere messa in concorrenza. E su quella insindacabilità è stata costruita una dogmatica e una morale rigorosissime, che hanno plasmato e plasmano la nostra esistenza. Se siamo invece in presenza di un piccolo episodio di ribellione politica fallita, eretta a simbolo di una vittoria ad altro livello da parte di una persona che non ha neppure conosciuto il Gesù storico, le cose cambiano. Hai ragione se dici che il simbolo è più importante della realtà, ma non è più realtà o è realtà di altro tipo. Nel Cristianesimo non si dice: quello che importa è il Regno dei cieli, come raggiungerlo è affar vostro; il cardinal Biffi dice invece che in Paradiso ci si può andare solo attraverso la Chiesa perché essa è la custode della rivelazione storica. Caro Maurizio, non si tratta della pittura di una parete di un edificio, ma della sue fondamenta. Il Buddhismo dice: la mia via è più efficace, il Cristianesimo dice la mia via è la sola vera.
Il corrispondente si pone il problema se ciò che si narra sia storia o mito. Indaga onestamente sulle vicende narrate dai vangeli, ma con la speranza di dimostrare che siano vere, in caso contrario si troverebbe in una crisi religiosa drammatica.
Io più modestamente postillo: storia o mito? O, più semplicemente, simbolo?
Non ritengo importante l’aspetto storico. Non credo alla religione che per affermare la propria superiorità deve attaccarsi alla realtà storica (e si trova in difficoltà quando la storia, con i propri strumenti di indagine, mette in dubbio quella verità). Ritengo le religioni strumenti dell’uomo create dall’uomo per collegarsi a qualcosa che l’uomo sente altrove. Il collegamento può avvenire come sforzo di evoluzione dell’uomo (dal “basso” verso l’“alto”) oppure come proiezione delle insicurezze dell’uomo (il dio padre, punitore ma rassicurante – appunto come una super figura paterna).
Non importa se quell’uomo sia storicamente esistito, ma importa cosa la sua figura, il suo esempio (in una parola il suo simbolo) dica all’uomo.
Così, per restare nell’ambito del cristianesimo, non mi interessa che Gesù sia storicamente esistito in quelle modalità (che tra l’altro sono storicamente se non impossibili certo molto improbabili). Non mi interessa nemmeno se storicamente sia resuscitato o no (a mio parere sicuramente no).
Mi interessa invece il simbolo della rinascita che con la sua figura assume (la rinascita) una valenza praticamente universale e diventa possibilità alla portata di tutti e non solo di pochi.
L’attimo fuggente dell’intuizione non avviene nel flusso storico del mondo, ma nel flusso storico della vita – anche, ma non solo, storica – individuale. Collocare l’atto nella storia del mondo (il giorno x dell’anno y) è irrilevante per chi intuisce, ma diventa importante per chi vuole fondare su quell’atto una sovrastruttura conseguente (appunto una religione).]
L’atteggiamento del cristianesimo nei confronti della storia, non potendosi descrivere come una evoluzione verso la futura venuta del Regno diventa storia di affermazione del cristianesimo. In tal senso nel mondo occidentale si assiste alla completa supremazia del cristianesimo come religione e come struttura organizzata.
Chi non concorda con l’impostazione generale rimane comunque all’interno del quadro cristiano di riferimento, introducendo il concetto di “storicizzazione delle religioni”: una religione compare in un dato momento storico dall’esaurimento della religione precedente e ne rappresenta un progresso. Il mito di oggi era la religione di ieri; la religione di oggi sarà il mito di domani

Da una parte il quadro di riferimento rivela la forza del cristianesimo che può ben dirsi l’elemento fondante del mondo occidentale (negli aspetti sia positivi che negativi) tanto da aver fatto dire a più d'uno: Non possiamo non dirci cristiani; dall’altra anche chi non condivide tale elemento fondante è obbligato a riferirvisi, sia pure per andare oltre.

Il modello di storicizzazione delle religioni presenta però alcune difficoltà.

E’ riferibile a tutte le religioni oppure solo ad alcune? Solo per l’occidente o anche per l’oriente?

L’induismo (meglio: l’insieme delle religioni che gli occidentali denotano sotto tale termine) può essere datato fin da trentasette secoli fa. L’ebraismo nasce circa trentadue secoli fa. Il buddhismo nasce ventiquattro o venticinque secoli fa. Il cristianesimo nasce diciotto-venti secoli fa. L’islamismo nasce quattordici secoli fa.
Tutte queste religioni sono oggi ben rigogliose e se pure mostrano elementi di reciproca influenza è azzardato pensare che una possa essere lo sviluppo di un’altra.
Di più. Se per esempio è possibile affermare che il cristianesimo si innesta sul solco del paganesimo (dove con questo termine intendo la religione del mondo greco e romano) – piuttosto che dell’ebraismo – appropriandosi di manifestazioni proprie della religione morta (per esaurimento storico e violenza della nuova religione), si fa più fatica, in America latina, a pensare al cattolicesimo come evoluzione delle preesistenti religioni di Maya, Aztechi e Incas. Non si trattò di evoluzione, ma di eliminazione (anche se motivi delle vecchie religioni sono stati assorbiti dal cattolicesimo locale). Altrettanto dicasi nell’America settentrionale. Il cristianesimo non fu evoluzione delle religioni animiste delle popolazioni autoctone, ma si trovò unica religione (sia pure nei diversi aspetti del mondo protestante e cattolico) dopo l’annientamento delle popoli indigeni.

Il principio di storicizzazione delle religioni, invece, vale all’interno di una religione.

Così all’interno della religione ebraica è difficile sostenere che la religione dei primordi abramici sia la stessa degli esseni o la stessa di oggi, dopo duemila anni di diaspora.

All’interno della stessa religione cristiana, il cristianesimo paolino con la insistenza sulla sufficienza della fede non è lo stesso del cristianesimo medievale francescano o del luteranesimo o calvinismo o del controriformismo post-tridentino o del cristianesimo all’inizio del terzo millennio (volutamente parlo di cristianesimo e non di chiesa, perché l’osservazione è riferita alle forme religiose e non alla struttura organizzativa).

L’idea stessa di religione si evolve nel tempo e nello spazio, anzi, all’interno della stessa società. Si potrebbe quasi dire che la struttura sociale produce una “sua” religione e la religione produce una “sua” struttura sociale: religione e società sono reciprocamente interdipendenti, quasi come aspetti diversi (e parziali) di una stessa realtà.

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