lunedì 25 gennaio 2010

9.6 Osservazioni

La prima domanda da porsi è sul senso di un cavalierato cristiano (non si parla di cavallerie di altre religioni) innestata sulla Massoneria dei tre gradi e sul sistema dell'Arco Reale.

Sorge inoltre immediata la questione di possibili “doppioni”.

Limito l'analisi ai tre sistemi che ho conosciuto, cioè l'americano dello York (Cavaliere di Malta prima e Templare poi), l'inglese del Gran Priorato di Scozia (Cavaliere Templare prima e di Malta poi), il tedesco della Costantino (Cavaliere della Croce Rossa di Costantino, che ammette Cavalieri Templari, prima, poi - federati - Cavaliere del Santo Sepolcro e Cavaliere di San Giovanni Evangelista).
[Del sistema della Croce Rossa di Costantino americana federata al Rito di York e introdotta ultimamente in Italia come “grado aggiuntivo onorifico” non posso parlare perché non ne so nulla, anche se posso immaginare abbia una ritualità non molto diversa dal sistema tedesco (e sia stata introdotta "concorrenzialmente" alla tedesca).]
Mi domando, restando entro i limiti del sistema americano oppure inglese) se le differenze tra le due camere cavalleresche (Malta e Templari) siano necessarie o piuttosto non si tratti di copie volutamente differenziate (è opinione non solo mia che i collegamenti che si pretende esistano con gli ordini storici siano privi di fondamento].

Una possibile risposta può trovarsi nelle origini dei due ordini. I cavalieri di Malta nascono con il nome di Cavalieri Ospitalieri (Ospedalieri) per dedicarsi alla cura e al sostentamento dei pellegrini in Terra Santa. Solo in un secondo tempo, l’ordine prenderà le armi e si dedicherà alla difesa dei pellegrini (come tanti ordini coevi, templari compresi). L’Ordine dei Cavalieri Templari, invece, nasce con l’esigenza di difendere il pellegrinaggio ai luoghi santi: all’origine quindi ha proprio esigenze militari (difesa, principalmente, e attacco dei nemici).

La pratica dei lavori rituali di Malta fa risaltare un pieno recupero dei valori della religione cristiana, e ciò può essere stato – forse - l’obiettivo di chi introdusse una cavalleria in un ambito muratorio più universalista e meno caratterizzato dal punto di vista della religione.

Per parte mia non ho vissuto l’esperienza di Malta come recupero dei valori cristiani (non può essere il mio obiettivo), quanto come capacità di comprensione della validità anche dei valori cristiani.
[E' una posizione mia. Non posso dimenticare quel fratello che al termine di una tornata a tu per tu mi disse che le mie erano sì belle parole, ma che la sostanza del sistema cavalleresco dello York era quello che emergeva dai documenti americani, non dai nostri lavori...]
Direi anzi che fondamentalmente ho vissuto l’esperienza della cavalleria (nelle varie camere frequentate) inizialmente come un incontro con i valori della religione in particolare e della fede in generale. Per essere più precisi, non ho cercato di prendere atto della validità della religione cristiana (magari considerandone gli aspetti tipicamente consolatori), quanto di capacitarmi della necessità (per il mio divenire) di recuperare anche i princìpi basilari del cristianesimo, in una prospettiva che comporterà il superamento di una visione strettamente religiosa.

Sottolineo un aspetto essenziale (posizione evidentemente del tutto personale) che tiene conto dell’essere la cavalleria cristiana innestata in un sistema muratorio e quindi della impossibilità conseguente di assumere come obiettivo primario il recupero dei valori di una religione (nella fattispecie cristiana) se non in un’ottica muratoria (che appunto per essere muratoria è per sua natura universale, disdegna le settorialità e non può accettare lo scopo di una massoneria cristiana). D’altro canto la Bibbia appare aperta nei lavori massonici, ma non come libro della rivelazione religiosa, visto che vi è sovrapposto il sigillo di squadra e compasso, indicazione ben precisa della metodologia muratoria.

La camera di Malta è “curatrice”, cura cioè il corpo e lo spirito. La “cura” (la virgolettatura del vocabolo è necessaria in quanto la camera di Malta si rivolge a Maestri Massoni che hanno conquistato il diritto di segnare la propria pietra e hanno costruito il proprio arco interiore e non possono essere considerati alla stregua di profani ammalati) si rivolge alle modalità del libero muratore verso la religione. Nel contesto occidentale la religione è la cristiana, nella quale il libero muratore, volente o nolente, è cresciuto.
[Attenzione, non sto affatto ribadendo l’osservazione crociana che non possiamo non dirci cristiani, ma semplicemente osservo che la società occidentale è stata “informata” dal cristianesimo e che pure l’uomo occidentale si è formato in ambiente cristiano o almeno dal cristianesimo è stato condizionato, in positivo e in negativo.]
L’aspetto “religione” è per necessità parziale. Intanto il metodo della religione non può essere quello del libero ricercatore. Chi cerca liberamente, può anche sovrapporre parte del suo cammino con il percorso della religione, ma non del tutto: non cerca salvezza, bensì conoscenza; non cerca guide e pastori, ma è guida di se stesso, disposto anche a rischiare in prima persona.

Forse è proprio nel richiamo alle beatitudini del discorso della montagna che è possibile notare l’aspetto “curativo” della camera di Malta. Il Maestro dell’Arco Reale, portato a compimento le strutture architettoniche (ha costruito, avendo imparato prima ed applicato poi le leggi che regolano le costruzioni) ora cerca la propria “salute” nell’incontro con la religione.

Mi spiego meglio. Il libero muratore ovviamente ha già incontrato il religioso e la religione. Il precedente lavoro lo ha portato a posizioni per così dire “tangenziali” alla religione, senza un contatto effettivo (appunto il suo obiettivo è la costruzione dell’edificio sacro, non l’uso successivo che ne verrà fatto). Affrontare ora il religioso e quindi la religione significa riflettere sull’«uso» del Tempio.

Il percorso religioso inserito in una ottica muratoria deve necessariamente raggiungere l’obiettivo di riconoscere le parzialità di una singola religione e la cognizione che l’universalità può essere conquistata solo superando le singole religioni per raggiungere una condizione che le sovrasti tutte. Il metodo muratorio infatti non è quello della religione e quindi obiettivo del lavoro muratorio non può essere quello di vivere più a fondo la propria religione (per questo è sufficiente un qualsiasi movimento religioso) quanto il superamento delle parzialità della religione (di tutte le religioni!) per conquistare una universalità che non è più religione (anche se non la nega).

Significa quindi riconoscere che il singolo uomo che rifiuta il discorso religioso o che lo parzializza (da una parte) o lo assolutizza (dall’altra) è fondamentalmente un “ammalato” (non è completamente sano, ha solo una salute parziale) in quanto non si è ancora impadronito di tutte le sue dimensioni.

A me però interessa qui il senso con il quale ho vissuto l’esperienza di Malta (anche se non coerentemente con ciò che il rituale indica) o almeno le indicazioni che vi ho trovato, anche se - lo sottolineo ancora una volta - sono solo considerazioni mie, probabilmente in contrasto con lo spirito delle camere cavalleresche (qui sta il motivo per cui ho preso atto che quella mia esperienza cavalleresca era terminata).

Nel percorso spirituale il camminatore incontra suggerimenti e soluzioni (proposte però da altri). Alcune sono valide, altre parziali, altre invece fuorvianti (il termine fuorviare viene inteso nel pieno significato etimologico di mandare fuori, distogliere dalla via).

Un confronto necessario interseca l’esperienza della propria religione o della religione nella quale il camminatore è cresciuto (magari anche senza aderirvi, ma sicuramente rimanendone influenzato). Anche l’esperienza della ideologia che condividiamo può assumere un valore analogo all’adesione ad una religione, e dunque mi pare corretto associare qui religione ed ideologia.

La "salute spirituale" nasce dal riconoscere che un sistema religioso o ideologico (che pure ha valenza positiva per molti) non può mai essere – per definizione quasi – universale.
[Cinquecento anni, o Ananda, sussisterà la dottrina della verità, dice il Budda al discepolo. La ristrettezza di tempo e luogo può essere (agli occhi occidentali) indice di ristrettezza di vedute. A mio parere, invece, ciò che è valido qui e oggi può non essere valido altrove o domani. Ogni filosofia, ogni religione, ogni via di liberazione deve essere connaturata al diverso livello raggiunto da chi opera in quel luogo e in quel momento. Sotto questa luce intendo l’affermazione dei cinquecento anni. Del resto, il buddhismo di oggi è uguale al buddhismo delle origini? Così come il cristianesimo dell’inizio del terzo millennio non è il cristianesimo di Paolo (per lui – tanto per fare un esempio – è sufficiente la fede, mentre per il cattolicesimo di oggi la fede da sola non basta).]
L’esperienza di Malta deve far riconoscere al cavaliere la parzialità delle idee (sia pur nobili) nelle quali era cresciuto e che aveva cercato di applicare per raggiungere idee ancora più generali. L’obiettivo è quindi riconoscere deviazioni e parzialità spirituali e opporvisi: in termini iniziatici si tratta di riconoscere la morte e di non scambiarla con la vita. Se il cavaliere si pone nell’ottica del camminatore e del ricercatore, allora deve conquistare la propria interiorità: insomma, provocatoriamente, deve essere un po’ più Buddha che conquista l’illuminazione per proprie qualità e un po’ meno l’iconografico Gesù che quelle qualità possiede “per diritto di nascita” [anche perché – continuando sullo stesso tono provocatorio – di Buddha ce ne possono essere tanti, di Gesù invece ce ne è stato uno solo (ammesso che storicamente sia stata possibile una incarnazione del dio sulla terra)].

Il rituale delle camere di Malta tuttavia non appare indirizzare all’opera “risanatrice”, ma si presenta come un tentativo di potenziamento delle basi cristiane. Sta al cavaliere comprendere la valenza universale alla base di una interpretazione non parziale del discorso della religione, andando quindi oltre l’interpretazione meramente letterale e contestualizzando il rituale stesso al sistema muratorio. Può essere utile ricordare che in genere (ma non sempre) una religione nasce nell’alveo culturale di una religione precedente che sta per esaurire o ha già esaurito la sua valenza (A volte una religione muore di morte violenta, estirpata dalla religione di conquista. Ma anche in tal caso la nuova religiose dominatrice, pur nata in netta contrapposizione con la precedente, assorbe elementi della religione sconfitta e distrutta).

Un altro pericolo è ben presente a Spartacus (L’uomo nell’angoscia del suo divenire ultraterreno, 3 voll., Portici (Na), 1967-70, v. 1, p. 181): Ma là dove tutto non finisce nel materialismo e nella realtà materiale dominata dalla tecnica, l’individuo staccato dal mondo spirituale tende ad una specie di ascesi come esasperazione della volontà dominatrice e della sua libertà, e forgia il mito del Superuomo… Risulta così pericoloso non solo l’eccesso di materialismo, ma anche l’eccesso di spiritualismo, intendendo per tale uno spiritualismo non equilibrato o male indirizzato (i falsi profeti), aperto ad una sola esperienza e negatore delle altre.

Il cavaliere di Malta dunque è chiamato a “sanare” se stesso (immunizzandosi come Paolo dal morso della vipera) rifuggendo da vie non adeguate alla ricerca e non equilibrate: rifiuta la via devozionale, perché non implica la libertà nella ricerca e rifiuta l’eccesso di libertà, la libertà sfrenata che diventa licenza ed arbitrio e non permette una ricerca effettivamente “libera”.

La libertà per essere feconda deve essere associata al dovere. Così possono essere interpretate le parole del Priore al neofita: Questa candela accesa simbolicamente ti ammonisce che d’ora in poi tu dovrai essere luce brillante per gli altri, con il tuo comportamento esemplare (punto 91 del rituale di Cavaliere di Malta dello York). Il collegamento di due modalità così contrastanti (libertà e dovere) non solo non limita il camminatore (come al contrario potrebbe apparire a chi non sa andar oltre il quotidiano)...
[Nel campo quotidiano la libertà si esplica come possibilità di scelta, indipendentemente dalla decisione effettuata: se sono libero di scegliere allora posso scegliere tra A e B, e nella scelta esplico la mia libertà. Che poi la scelta di A sia migliore di quella di B, questo è un altro discorso (solo chi ha scelto A concorda con l’affermazione!). Il camminatore invece tra A e B si domanda quale scelta debba compiere; non necessariamente sceglie o A o B (potrebbe anche preventivamente far coincidere A e B oppure costruire e scegliere una terza alternativa C oppure ancora scegliere di non scegliere e proseguire.]
...ma nel connubio dei contrasti permette la modifica dei due opposti in una sintesi superiore che non vede più i due aspetti irriducibili, anzi li considera come due facce della stessa medaglia. Anzi, più compiutamente, effettua il passaggio dal concetto di dovere come costrizione di una norma (legislativa, religiosa, etica, …) vista come costrittiva in un comportamento che nasce dalla propria volontà: in altri termini il passaggio dall’io devo all’io voglio. Per cui risulterebbe che per essere più liberi bisogna “aumentare” il proprio dovere e che per praticare meglio il proprio dovere bisogna essere più liberi: solo così il dovere diventa il volere; solo così il camminatore diventa uomo di desiderio (desiderio secondo una etimologia simbolicamente molto efficace, viene martinisticamente inteso come andar verso le stelle), desiderando la propria volontà, risultato della trasmutazione del proprio dovere. Infatti dovere è legge che ancora viene dall'esterno e può essere vissuta come costrizione, mentre desiderio (nel senso martinista) è legge che viene dall'interno e viene vissuta come spinta interiore.

E’ vero che tale metodologia è già stata acquisita nel lavoro operativo di costruzione nell’Ordine e nelle camere operative dell’Arco. Ma ogni nuova camera, pur non indispensabile nel viaggio del camminatore, portando un nuovo contributo di conoscenze, permette anche di affinare e migliorare il metodo. La camera di Malta quindi permette di applicare tale metodologia alla religione o, più esattamente, al rapporto che noi abbiamo verso la religione.

Il rituale della camera templare è prettamente religioso e devozionale.

Sia ben chiaro: non mi disturbano le singole citazioni evangeliche e nemmeno i gesti, come l’inginocchiarsi o il segno della croce. Ogni passo, ogni gesto essendo fondamentalmente simbolico è passibile di innumerevoli chiavi di interpretazione, anche se sono persuaso che in certi contesti alcune interpretazioni simboliche possano essere privilegiate ed altre vanificate o escluse.

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