lunedì 21 settembre 2009

4.2.1 La Piccozza

Il camminatore sa che gli strumenti – come potenzialità delle risorse umane – sono numerosi, non sempre limitati allo specifico muratorio. E’ ben vero che la strada scelta è l’ars muratoria (e non per esempio la speziale o la marinara o il cucito) per cui diventa rilevante l’uso di certi strumenti e non di altri, ma il camminatore non esclude l’uso di utensili di “altre arti” o semplicemente svincolati da una particolare “arte”. Così non disdegnerà nel caso l’uso di una bussola per orientarsi, di un bastone da viaggio per appoggio (e magari difesa) o di una piccozza per salire e arrampicarsi.

Ecco, è appunto alla piccozza che mi riferisco. L'occasione mi è data dalla poesia di Giovanni Pascoli.

Il 22 settembre 1882 Pascoli veniva iniziato nella Loggia "Rizzoli" di Bologna.

Le tracce massoniche di Pascoli, che all'epoca della iniziazione era studente universitario, si perdono ben presto, e più avanti negli anni il poeta avrebbe duramente criticato l'Ordine, entro il quale egli affermava aleggiare deprecabili tendenze campanilistiche (anche di tipo letterario, marcatamente nelle direzioni carducciana e dannunziana).
[Cfr. M. Moramarco, Nuova Enciclopedia Massonica, vol. 2, p. 175].

Quindi non è attendibile considerare il Pascoli come una specie di aedo massonico, quale il Carducci. Nondimeno nella sua opera sono presenti assonanze con il cammino muratorio.

Dipende dall'esperienza muratoria? Oppure dalla capacità funambolica dell'artista di essere in comunicazione con l'altrove?

Non so rispondere. Ma non possiamo non prendere atto che certi temi sono connaturati nell'uomo perché ne costituiscono una caratteristica universale, che spesso la Libera Muratoria (ma non solo) sa cogliere grazie al suo anelito di universalità.

Riporto, come spunto, la sua Piccozza.

Da me!... Non quando m'avviai trepido
c'era una madre che nel mio zaino
ponesse due pani
per il solitario domani.

Per me non c'era bacio né lagrima,
né caro capo chino su l'omero
a lungo, né voce
pregante, né segno di croce.

Non c'eri! E niuno vide che lacero
fuggivo gli occhi prossimi, subito,
o madre, accorato
che niuno m'avesse guardato.

Da me, da solo, solo e famelico,
per l'erta mossi rompendo ai triboli
i piedi e la mano,
piangendo, sì, forse, ma piano:

piangendo quando copriva il turbine
con il suo pianto grande il mio piccolo,
e quando il mio lutto
spariva nell'ombra del Tutto.

Ascesi senza mano che valida
mi sorreggesse, né orme ch'abili
io nuovo seguissi
su l'orlo d'esanimi abissi.

Ascesi il monte senza lo strepito
delle compagne grida. Silenzio.
Ne' cupi sconforti
non voce, che voce di morti.

Da me, da solo, solo con l'anima,
con la piccozza d'acciar ceruleo,
su lento, su anelo,
su sempre; spezzandoti, o gelo!

E salgo ancora, da me, facendomi
da me la scala, tacito, assiduo;
nel gelo che spezzo,
scavandomi il fine ed il mezzo.

Salgo; e non salgo, no, per discendere,
per udir crosci di mani, simili
a ghiaia che frangano,
io, io, che sentii la valanga;

ma per restare là dov'è ottimo
restar, sul puro limpido culmine,
o uomini; in alto,
pur umile: è il monte ch'è alto;

ma per restare solo con l'aquile,
ma per morire dove me placido
immerso nell'alga
vermiglia ritrovi chi salga:

e a me lo guidi, con baglior subito
la mia piccozza d'acciar ceruleo,
che, al suolo a me scorsa,
riflette le stelle dell'Orsa.



MOTIVO DELLA SOLITUDINE E DEL CANTIERE
L'uomo compie nella solitudine atti fondamentali della sua vita: nasce da solo, muore da solo.

Il lavoro muratorio è collettivo, ma il vero lavoro di sgrossamento della pietra è individuale e solitario. Lo sgrossamento della pietra grezza è un simbolo, per cui non possono venire specificate le modalità operative di esecuzione del lavoro: è infatti impossibile stabilire una specie di manuale di istruzioni per il Libero Muratore e ciò che appare utile e indispensabile all’uno potrebbe non esserlo per l’altro.

Innanzi tutto bisogna iniziare il cambiamento interiore: Cosa e come cambiare? Ecco la necessità di sapere e di conoscersi, di studiare e di studiarsi: la conoscenza non è solo studio teorico. ma è pratica su se stessi.

Cosa significa il silenzio dell'Apprendista se non che tacendo deve operare su se stesso? La ricerca della Luce è un processo di trasformazione attraverso tutte le tappe dal materiale allo spirituale; deve dunque essere un impegno personale e continuo di ogni libero muratore, impegno che va ben oltre la semplice frequentazione alle tornate di Loggia.

Tanto tempo fa un viandante nel suo peregrinare si trovò davanti ad un immenso cantiere. Incontrò alcune persone intente a scolpire delle pietre e chiese loro cosa stessero facendo. Lavoro rispose il primo. E il secondo: Sto squadrando una pietra. Ma il terzo rispose: Sto costruendo una cattedrale!, dimostrando un livello di consapevolezza che i primi due non avevano.

Il camminatore deve imparare a raggiungere la consapevolezza. Strumento principale della ricerca è l’attività pensante, quell'insieme di attività razionali ed extra-razionali che l’uomo riesce a mettere in movimento. Il camminatore deve imparare ad usare consapevolmente il pensiero e riuscire a conquistarlo.

Il camminatore vuole ottenere una attività, anche mentale, disciplinata e raggiungere il silenzio interiore, unica condizione per l'attività successiva. Man mano che si lavora nel Tempio è indispensabile che proceda anche il lavoro interiore, altrimenti viene a perdere di significato l'essere Massoni.

Si pone inoltre il rapporto tra lavoro individuale e lavoro collettivo nel Tempio cantiere. La pietra singola deve infatti collocarsi assieme alle pietre singole degli altri Fratelli per costruire insieme il Tempio collettivo. Il nostro lavoro quindi deve essere eseguito con abilità e maestria, altrimenti non potrà essere coerente con quello degli altri Fratelli.

Chi deve giudicare il nostro lavoro? Senza dubbio l'ultimo giudice è la propria coscienza. Ma si pone anche il problema di come giudicare il lavoro degli altri. Non sembri una domanda fuor di luogo: il lavoro muratorio è appunto collettivo. Ma attenzione: la Massoneria ci insegna che la pietra scartata perché non coerente con i canoni dell'arte fu scoperta successivamente essere la chiave di volta che permise di completare la costruzione del Tempio. Quindi prudenza e umiltà.
Il lavoro interiore è un impegno che abbiamo preso con noi stessi il giorno in cui bussammo alla porta del Tempio. Non dobbiamo esimercene, pena il restare definitivamente nella profanità. Ma non dobbiamo esimercene anche per la necessità del lavoro dei Fratelli. Infatti il lavoro nel Tempio è il lavoro che si svolge in un cantiere: il lavoro goffo e maldestro di un singolo rende goffo e maldestro il lavoro dell’intero cantiere.


MOTIVO DELLA SALITA
Salire è una modalità del viaggiare e indica nel cambiamento di quota il cambiamento di piano. Chi sale amplia il proprio punto di vista e – analogamente – nel linguaggio simbolico – salire significa ampliare le proprie prospettive. A volte per le apparenti contraddizioni del percorso, per salire si deve scendere.

I viaggi dell'apprendista sono una tappa della grande salita; come i viaggi del compagno e quelli del maestro. Il monte che scaliamo non appartiene alla geografia fisica, ma alla geografia simbolica. Non è un monte, ma il monte, simbolo dello spazio archetipico sacro. La cima della montagna può rappresentare così il luogo ove si verifica l’unione di Alto e Basso, di Cielo e Terra, componenti essenziali del proprio centro interiore: la salita infatti è conquista del proprio centro interiore.

Una volta intrapreso il cammino non si può più tornare indietro; l'alpinista che ha iniziato l’arrampicata su una parete non può far altro che proseguire perché spesso è più pericoloso scendere (rinunciare) che salire. Si sale per restare in cima, non per cercare approvazioni o consensi profani, ma per se stessi.

La conquista della montagna cambia l'uomo, che non sarà più lo stesso di prima.

Metaforicamente, chi è salito non può più scendere, perché chi scende è un altro, l'homo novus, che ha raggiunto l'«alto». Nel mondo quotidiano si troverà sempre in esilio, non potrà più essere uguale a prima: chi ha visto le stelle, sarà esule nella patria terrena.

Lo scalatore non ha acquistato maggior sapere, ma ha raggiunto un grado diverso. La cima del monte è un termine improvviso, come un lampo intuitivo, non inaspettata perché è stata preparata e conquistata dal lungo e faticoso cammino).

Lo scenario dell'azione (qui la montagna e la salita, altrove il mare, un edificio, il bosco, il labirinto, la discesa o il movimento in tondo, il danzare) diventa quasi lo scenario di un rito che prefiguri il risveglio archetipico dell'uomo-attore, di questo individuo che ritorna in-dividuus (non-divisus), non separato.

In questa piccozza abbandonata quasi al termine dell'arrampicata vedo la razionalità dell'uomo moderno, che aiuta a percorrere la via, che è strumento indispensabile per scavare "il fine ed il mezzo", ma che, appunto come uno strumento usato, alla fine va lasciata per aver ormai esaurito il suo compito. Resta là, quasi pietra miliare, a riflettere le stelle dell'Orsa, che vede, ma non può raggiungere.


MOTIVO DEL SILENZIO
Il silenzio è la condizione indispensabile per la conoscenza, parlo del silenzio interiore, non di altri tipi di silenzi o, meglio, mutismi. Non si può capire senza ascoltare, e per ascoltare è necessario il silenzio, cioè l'eliminazione di ogni attività spontanea della mente. Simbolicamente il muratore ricerca la Parola Perduta, senza rendersi conto che non è perduta ma risuona attorno a noi. E’ l’uomo che non la riesce a percepire, frastornato dal rumore. Solo il silenzio interiore, la concentrazione nel proprio centro permette che la Parola risuoni in noi (con tutto ciò che simbolicamente indica la Parola). Silenzio e parola non sono termini antitetici, anzi in un certo senso complementari. Il camminatore è dunque un cacciatore del silenzio (parafrasando Gibran - vedi), aussi la parole humaine sorte du centre de l'esprit [Jacob Boehme, Confessions, Paris, 1973, p. 87].

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