La memoria dei fatti da cronaca si fa storia, non ricordare non significa vivere meglio, ma più semplicemente, far finta di non aver vissuto... Ci sono molti modi di ricordare. C’è chi lo fa con celebrazioni, chi con la protesta, chi con le opere, chi con la preghiera.
Sono parole che il dramma vissuto rende toccanti, tratte dalla Prefazione che Silvia Tortora premette alla raccolta di alcune lettere del padre Enzo scritte durante la di lui “avventura” giudiziaria.
Noi vogliamo ricordare, noi dobbiamo ricordare; e non solo le “piccole” tappe del personale cammino, “stazioni” della mia personale via, che, accomunata ad altri personali cammini di chi mi è vicino (moglie e figli, amici, i Fratelli di Loggia) e di tutti gli uomini, si trasforma nel cammino collettivo dell’Umanità intera.
Il personale grande viaggio continua e il nostro piccolo diario di bordo fissa i porti che la nostra “arca di Noè” ha toccato.
Ma non illudiamoci. Non è qui il nostro lavoro. Se allora “non sbarcammo” in qualche porto, non è con i gozzaniani “oggetti col monito Salve, Ricordo” o con le immagini impettite, baffute, ricciolute dagli occhi vitrei e trasognanti, spenti quasi, che emergono dalle nebbie del passato nelle vecchie fotografie color seppia che possiamo rimediare a quanto non si fece.
Oggi, novello caminante, “antroponauta” di me stesso, ricordo... rivivo... rievoco... il percorso nel “dentro” senza altra bussola che il desiderio di andare.
E’ un fatale andare? E’ un volere andare? O semplicemente è un andare e non restare, perché restare è un po’ come morire?
Nelle Istruzioni di Primo Grado allegate all’edizione 1954 dei Rituali del Grande Oriente leggo:
D: Che
rappresenta la tavola per incidere e per tracciare [cioè
il Tracing Board, il
nostro Quadro di Loggia]?
R: È il
simbolo della memoria, di questa preziosa facoltà che ci è stata
concessa per formare i nostri giudizi, conservando le tracce di ogni
nostra percezione.
Memoria come scrigno dei lavori ma anche come scrigno di se stessi.
Ricordare non è un semplice riportare alla luce fatti e avvenimenti.
E’ anche un rielaborarli, un rimestarli, come se dovessimo mescolare la polenta nel paiolo, mentre “si cuociono” nel nostro fuoco.
“Cuocere” significa anche riprendere sotto altre prospettive, cambiare, mutare, e pure dimenticare.
Perché se siamo veramente partecipi sulla via, che liberamente scegliemmo senza nessuna costrizione, scopriremo che in qualche modo misterioso anche i “banali” avvenimenti (una riunione di lavoro, una lezione scolastica particolarmente significativa o noiosa, una guardia durante il servizio militare) fanno parte del nostro vissuto.
E può anche essere che le volessimo dimenticare, come sgradevoli.
Ammesso che si possa veramente dimenticare una esperienza e non “seppellirla” altrove in attesa di una dispettosa madeleine che la riporti alla luce.
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