Se un piano ruota rigidamente sopra se stesso in un verso assegnato attorno ad un suo punto fisso (centro di rotazione) di un angolo (convesso) assegnato, ogni retta situata nel piano si muove anche essa, e le posizioni iniziale e finale della retta (orientata), se si incontrano, formano un angolo uguale a quello di cui ha ruotato il piano.[Arturo Reghini, La tradizione pitagorica massonica, Napoli, 1988, p. 161].
In parole povere, se un piano ruota di un certo angolo attorno ad un punto fisso, tutte le figure e gli oggetti del piano ruotano dello stesso angolo.
Basandosi su questo postulato, Reghini giunge a dimostrare il teorema di Pitagora, il maggior risultato della scuola pitagorica.
Qui non mi interessa l’aderenza storica dell’ipotesi reghiniana, che ben difficilmente potrà essere verificata.
Ma dal punto di vista simbolico il significato è rilevante: intendendo il lavoro dell’apprendista sul piano per “angoli retti” e il lavoro del maestro nello spazio (il richiamo ai punti “fissi” individuati dalle stelle è simbolicamente significativo…), per quanto riguarda il lavoro del compagno, il riferimento rituale alla scala curva di sette gradini porta dalla linea retta alla curva e quindi alla linea individuata per rotazione di qualcosa attorno ad un certo punto particolare (ecco il compasso). Il Compagno d'Arte deve riuscire a cogliere il punto perno della rotazione in se stesso: egli è il centro della rotazione, perché tutto deve ruotargli attorno. Diventa così la misura delle cose, anzi l’unica (per lui) misura delle cose.
A questo punto il ragionatore può obiettare che così facendo si cade inevitabilmente nel particolare e si perde l’universalità e che l’unico modo per mantenerla è ipotizzare un principio superiore generale al quale tutto fa riferimento.
L’ultima volta che ho ascoltato discettare di filosofia della massoneria fu alla pubblicazione della Filosofia della Massoneria (che faceva il verso all’analoga opera di Fichte) di Di Bernardo . La tesi dibernardiana appunto consisteva nell’ipotizzare la trascendenza del principio regolatore (a suo dire il Grande Architetto) per riconquistare l’universalità persa nella valorizzazione del singolo individuo e nel rifiuto appunto dei massimi sistemi.
Non credo valga la pena di ribattere ad una tale tesi singolare, ma sicuramente non è inutile ribadire che un approccio filosofico alla massoneria non può permettere di comprenderla pienamente.
Non ritengo significativa la critica al venir meno dell'universale: a me – camminatore – non importa tanto l’universalità del mondo o di un essere supremo, quanto la possibilità di continuare il mio cammino fino al termine della tappa (se non del viaggio). Ritengo molto più “utile” per esempio un approccio come il buddhista che non si preoccupa tanto dei massimi sistemi quanto della possibilità del singolo uomo di giungere al risveglio.
[La virgolettatura del termine "utile" è necessaria in quanto ribadisce il senso del vocabolo svincolandolo da utilitarismi materiali, psicologici o religiosi. L’utilità dell’approccio buddhista significa appunto fissare l’attenzione sull’uomo e sulle sue possibilità, senza preoccuparsi di esistenze di esseri supremi o altro (che possono esistere o non esistere, ai quali possiamo credere o non credere) la presenza dei quali sia, come in altre religioni, condizione necessaria del risveglio o della "salvezza"].
In breve: io cammino e non mi importa tanto disquisire se la via sia universale o particolare, unica o molteplice. Semplicemente cammino, e so di dover continuare il viaggio.
Per di più io libero muratore, ideale discendente dagli antichi costruttori, posso riappropriarmi della universalità del metodo (non di un ente) semplicemente collegandomi alle tecniche costruttive mutuate direttamente dalle leggi del mondo.
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