mercoledì 7 dicembre 2016

Delle mosche del mercato

Diversi anni fa commentai alcuni capitoli dello Zarathustra di Nietzsche, un'opera che mi affascinò un sacco.


Amico mio, fuggi nella tua solitudine! Io ti vedo assordato dal fracasso dei grandi uomini e punzecchiato dai pungiglioni degli uomini piccoli.

Zarathustra non usa più il termine uomo per questi individui, li sminuisce ulteriormente qualificandoli piccoli e associandoli a mosche. Si può sfuggire loro solo nella tua solitudine, non la solitudine dell’angoscia, ma isolamento e lontananza che permettono di lavorare su se stessi evitando il fracasso non tanto del mondo quanto degli omuncoli.

La foresta e il macigno sanno tacere dignitosamente con te. Sii di nuovo simile all’albero che tu ami, dalle ampie fronde: tacito e attento si leva sopra il mare.
Là dove la solitudine finisce, comincia il mercato; e dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose.

Solo nella solitudine è possibile conquistare il silenzio che permette il lavoro. Al di fuori si è nel mercato. Qui il mercato assume la valenza negativa del rumore e delle apparenze. Il mercante vende la propria merce per ottenere il massimo profitto, vantando pregi e qualità che non ha, cercando quindi di raggirare l’acquirente. Il quale a sua volta cerca di acquistare con la minima spesa, deprezzando ciò che compra. Per entrambi il principale obiettivo non è tanto la merce oggetto della compra–vendita, quanto l’ottenimento di un profitto personale.

Nulla di più estraneo all’aristocratico Zarathustra. Il rumore e le apparenze sono estranee al caminante che ha scelto da tempo altri scopi.

Anche le cose più eccellenti del mondo non valgono nulla, se non trovano qualcuno che le rappresenti: grandi uomini sono chiamati dal popolo questi attori.
Il popolo capisce poco ciò che è grande, cioè: la creazione. Ma esso ha comprensione per tutti gli attori e i commedianti delle grandi cause.


La creazione è un atto troppo grande perché la gente possa comprenderlo. Provocatoriamente Zarathustra usa il termine popolo, che nella coscienza moderna assume una valenza positiva (di contro ad altri termini, quali masse, classi,…, con una chiara sfumatura negativa o non positiva).

L’atto creativo è al di fuori della comprensione di chiunque non sia giunto al livello del fanciullo prima e del superuomo poi, men che mai di chi è ancora allo stadio di cammello. Al più possono accettare i miti religiosi sulla creazione del mondo da parte di un dio.

L’atto creativo effettuato dall’uomo è al di là non solo della possibilità di comprensione, ma anche della facoltà di immaginazione del cammello…

Il mondo ruota intorno agli inventori di valori nuovi – invisibilmente esso ruota. Ma il popolo e la fama ruota intorno ai commedianti: così va il mondo.

Gli inventori di valori nuovi, i creatori, sono innovativi appunto perché creano i valori del futuro. I commedianti invece si rifanno ai vecchi valori, ormai appartenenti al passato. Ma i cammelli non possono capire il nuovo e si mantengono fedeli al vecchio, del quale non possono comprendere il superamento. Il cammello è appagato dalla universalità (e quindi immutabilità) del valore cui presta fede (ecco il termine corretto: prestar fede). Il cammello è infatti un fedele che ritiene la sua credenza “definitiva”.

Il commediante ha spirito, ma poca coscienza dello spirito. Egli crede sempre a ciò con cui gli riesce di suscitare la fede più intensa – la fede in se stesso!
Domani avrà una nuova fede e doman l’altro un’altra ancora più nuova. Simile al popolo, egli ha rapidi sensi, e umori mutevoli.

La cosa sorprendente sta nel considerarle di fedi diverse, ma la stessa fede. Il devoto cristiano non ammetterà mai che la religione di Paolo con l’insistenza sull’importanza della fede sulle opere (come invece prescriveva l’ebraismo), il cristianesimo medievale di un Bonifacio VIII, il cristianesimo del XX secolo siano tre cristianesimi diversi: li considererà sempre e comunque la stessa religione, definitivamente creata dopo gli avvenimenti palestinesi di venti secoli fa.

Il commediante è l’uomo di questa multiforme fede. Non tanto uomo, quanto piuttosto cammello: come l’attore si cala nelle singole parti e assume le più diverse personalità, così il cammello sopporta tutto senza distinzioni e non è in grado di distinguere e respingere.

Sconvolgere – ciò significa per lui: dimostrare. Far perder la testa – ciò significa per lui persuadere. E il sangue è per lui la migliore delle ragioni.
Una verità che si insinui solo in orecchie fini, la chiama menzogna e nullità. Certo, egli crede solo a dèi che facciano gran fracasso nel mondo!
Il mercato è pieno di buffoni solenni – e il popolo esalta i suoi grandi uomini! questi sono per lui i padroni del momento.
Ma il momento li incalza: così essi ti incalzano: e anche da te pretendono un sì o un no. Guai, vuoi assiderti tra pro e contro?
Per via di questi assoluti e indiscreti, sii senza gelosia, tu che sei un amante della verità! Mai la verità fu al fianco di un assoluto.

Perché la verità non può essere un assoluto. L’uomo che enuncia la propria verità non può essere un assoluto. Se fosse un assoluto non sarebbe di questo mondo.

Per via di questi subitanei, ritirati nella tua sicurezza: solo sul mercato si viene assaliti con la richiesta di un sì o di un no.

Il mercato è anche il luogo dove si enunciano le cose con un sì o con un no. Non c’è posto per la praticamente infinita gamma delle sfumature; non c’è quindi spazio per il cammino.

Tutte le sorgenti profonde vivono con lentezza la loro esperienza: esse debbono attendere a lungo prima di sapere che cosa è caduto nella loro profondità.
Tutto quanto è grande si ritira in disparte dal mercato e dalla fama: gli inventori di valori nuovi hanno sempre abitato lontano dal mercato e dalla fama.
Amico mio, fuggi nella tua solitudine: io ti vedo tormentato dalle punture di mosche velenose. Fuggi là dove l’aria spira forte e inclemente!
Fuggi nella tua solitudine! Hai vissuto troppo vicino ai meschini e miserabili. Sfuggi alla loro vendetta invisibile! Verso di te essi non sono altro che vendetta.
Non levare più il tuo braccio contro di loro! Innumerevoli sono essi, e non è tuo destino essere uno scacciamosche. Innumerevoli sono questi meschini e miserabili; e più di un edificio orgoglioso è andato in rovina solo a causa di gocce di pioggia e di erbacce.
Tu non sei una pietra, ma già sei divenuto cavo per le molte gocce. Ancora molte gocce e dovrò vederti spaccato e in frantumi.
Spossato io ti vedo da mosche velenose, sanguinosamente segnato in cento scalfitture; e il tuo orgoglio non vuol nemmeno andare in collera.
In tutta innocenza essi vorrebbero da te il sangue, sangue bramano le loro anime esangui – e perciò pungono in tutta innocenza.
Ma tu, che sei profondo, tu soffri troppo profondamente, anche per piccole ferite; e ancora non sei riuscito a guarirti, che già lo stesso verme velenoso ti è strisciato sulla mano.

Tolleranza

Io ti vedo troppo orgoglioso, per uccidere questi ingordi. Bada però che non diventi la tua rovina, dover sopportare i loro torti velenosi!
Essi ti ronzano intorno anche con la loro lode: impertinenza è la loro lode. Essi vogliono la vicinanza della tua pelle e del tuo sangue.
Essi ti adulano come un dio o un demonio; essi piagnucolano davanti a te come davanti a un dio o un demonio. Che importa! Adulatori essi sono e piagnucoloni, nulla di più. –
Spesso fanno anche gli amabili conte. Ma questa è sempre stata l’intelligenza dei vili. Sì, i vili sono intelligenti!
Essi riflettono molto su di te nella loro anima angusta – tu sei sempre inquietante per loro! Tutto quanto è oggetto di molta riflessione, diventa inquietante.
Essi ti puniscono per tutte le tue virtù. E ti perdonano, veramente, solo – i tuoi errori.
Tu sei mite e di equo sentire, perciò dici: «Essi non hanno colpa della loro esistenza meschina». Ma la loro anima angusta pensa: «Colpevole è ogni grande esistenza».

Zarathustra ammonisce: Bada però che non diventi la tua rovina, dover sopportare i loro torti velenosi!

La tolleranza viene comunemente intesa come applicazione del principio voltairiano: non sono d’accordo con te, ma mi batterò fino alla morte perché tu abbia il diritto di esprimerti.

E’ sicuramente un principio ideale da perseguire nella società e ancora oggi non attuato in molti paesi.

Zarathustra però si pone in una prospettiva diversa dal sociale (che – ripeto – è pur fondamentale per la convivenza civile), per cui la valenza della tolleranza può non essere positiva. Non è accettabile infatti confondere tolleranza con sopportazione. Mi spiego. Supponiamo che qualcuno sostenga che non sempre un corpo lasciato libero cade verso il basso, ma che può anche salire verso l’alto. Io gli chiederei di specificare o i casi in cui il corpo non cade o le leggi che regolamentano la caduta; in caso contrario mi sentirei di accusarlo di ignoranza senza per questo sentirmi intollerante.

Lo stesso succede nel lavoro interiore.

Io non credo che ogni idea abbia la stessa valenza nel lavoro interiore perché bisognerà pur evitare questa indifferenza morale o culturale.

Io personalmente ritengo che non tutte le opinioni possano essere considerate ugualmente valide e che si possa (anzi, in certi casi si debba) opporsi a certe opinioni, anche se sono consapevole della non universalità delle piccole verità che ho raggiunto e della mia impossibilità di imporle ad altri.. Ma è un terreno scivoloso e non mi sento in grado di stabilire con una precisione accettabile cosa sia valido e cosa no.

Per parte mia ritengo che la tolleranza, oltre ad ammettere implicitamente la facoltà che tu possa esprimere le tue idee, nel lavoro interiore assuma un senso per così dire costruttivistico.
In un certo senso richiama il simbolo dell’arco che si appoggia e supera le due colonne, le quali per così dire sostengono e “tollerano” l’arco stesso. Ecco, tollerare significa porsi nell’ottica di costruzione: da due idee opposte riuscire a costruire una nuova idea (né l’una, né l’altra, ma un po’ dell’una e dell’altra) che “tolleri” i due punti di partenza. Tollerare quindi significa modalità costruttiva di superamento del binario. L’immagine architettonica della tolleranza è data a mio parere dall’arco che sormonta le due colonne: entrambe le colonne “tollerano”, “sopportano” l’arco, che si regge appunto perché si appoggia su entrambe. A sua volta l’arco completa le colonne e “supera” le loro individualità, rendendole struttura unica. Tollerare quindi significa costruire e significa pure non accettare ciò che appare distruttivo.

Nel piano spirituale (non in quello comportamentale nel quale restano ristretti tanti uomini non ancora leoni) quindi debbo cercare nelle altre posizioni diverse dalla mia quel quid che permetta la costruzione e la stabilità dell’arco. In questo senso (ma solo in questo senso) posso accettare una specie di equivalenza delle posizioni come ricchezza dell’uomo e in questo senso (ma solo in questo senso) rigettare la posizione di chi si ritiene investito di verità rivelate e di guardarmi – con Brecht – da colui che ha dio in cielo.
Il camminatore deve liberarsi dai fastidi degli sciocchi, dai quali non solo non deve aspettarsi aiuti, ma dai quali deve guardarsi.

Anche se sei mite con loro, si sentono pur sempre disprezzati; e ricambiano ogni tuo atto benefico con subdole cattiverie.
Il tuo orgoglio senza parole va sempre contro il loro gusto; giubilano, se qualche volta sei tanto modesto da essere vanitoso
Nell’atto stesso in cui noi riconosciamo qualcosa in un uomo, questo qualcosa prende fuoco in lui. Perciò guardati dalle persone meschine!
Essi si sentono meschini di fronte a te, e la loro bassezza cova, ardente sotto la cenere una vendetta invisibile. Quante volte sono ammutoliti al tuo apparire, e la loro forza li ha abbandonati come il fumo di un fuoco che si estingue: non l’hai notato?
Sì, amico mio, tu sei la cattiva coscienza dei tuoi prossimi: essi infatti non sono degni di te. Perciò ti odiano e vorrebbero succhiarti il sangue.
I tuoi prossimi saranno sempre mosche velenose; ciò che in te è grande – proprio questo non può non renderli più che velenosi e sempre più mosche.
Amico mio, fuggi nella tua solitudine e là dove spira un’aria forte e inclemente. Non è tuo destino essere uno scacciamosche. –
Così parlò Zarathustra.

NOTA  -  La frase di Brecht non significa elogio dell’ateismo (posizione che personalmente rifiuto come rifiuto quella di credente e di religioso), ma rinuncia di idee preconcette e assolutiste. Vi è uguaglianza delle potenzialità nella ricerca, ma la verità è una conquista individuale e non tutti gli uomini sono uguali sul piano delle realizzazioni (uguaglianza dei diritti, ma non dei doveri: chi è più in alto – cfr. il maestro nel Gioco delle perle di vetro di Hesse – ha più doveri). La strada è per tutti – cammelli compresi –, ma sarà percorsa solo da chi vorrà e ne sarà capace. Solo i capaci da cammelli diventeranno leoni. E solo gli ancora più capaci da leoni fanciulli. Troppo superficiale invece la posizione di chi ritiene valide tutte le diverse vie, a patto di mantenere una sola meta.

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