Amico mio, fuggi nella tua solitudine! Io ti
vedo assordato dal fracasso dei grandi uomini e punzecchiato dai
pungiglioni
degli uomini piccoli.
Zarathustra non usa più il termine
uomo per questi individui, li sminuisce ulteriormente qualificandoli
piccoli e associandoli a mosche. Si può sfuggire loro solo
nella tua solitudine, non la
solitudine dell’angoscia, ma isolamento e lontananza che permettono
di lavorare su se stessi evitando il fracasso non tanto del mondo
quanto degli omuncoli.
La foresta e il macigno sanno tacere
dignitosamente con te. Sii di nuovo simile all’albero che tu ami,
dalle ampie fronde: tacito e attento si leva sopra il mare.
Là dove la solitudine finisce, comincia il
mercato; e dove il mercato comincia, là comincia anche il fracasso
dei grandi commedianti e il ronzio di mosche velenose.
Solo nella solitudine è possibile
conquistare il silenzio che permette il lavoro. Al di fuori si è nel
mercato. Qui il mercato assume la valenza negativa del rumore e delle
apparenze. Il mercante vende la propria merce per ottenere il massimo
profitto, vantando pregi e qualità che non ha, cercando quindi di
raggirare l’acquirente. Il quale a sua volta cerca di acquistare
con la minima spesa, deprezzando ciò che compra. Per entrambi il
principale obiettivo non è tanto la merce oggetto della
compra–vendita, quanto l’ottenimento di un profitto personale.
Nulla di più estraneo
all’aristocratico Zarathustra. Il rumore e le apparenze sono
estranee al caminante che ha scelto da tempo altri scopi.
Anche le cose più eccellenti del mondo non
valgono nulla, se non trovano qualcuno che le rappresenti: grandi
uomini sono chiamati dal popolo questi attori.
Il popolo capisce poco ciò che è grande,
cioè: la creazione. Ma esso ha comprensione per tutti gli attori e i
commedianti delle grandi cause.
La creazione è un atto troppo grande perché la
gente possa comprenderlo. Provocatoriamente Zarathustra usa il
termine popolo, che nella coscienza moderna assume una valenza
positiva (di contro ad altri termini, quali masse, classi,…, con
una chiara sfumatura negativa o non positiva).
L’atto creativo è al di fuori della
comprensione di chiunque non sia giunto al livello del fanciullo
prima e del superuomo poi, men che mai di chi è ancora allo stadio
di cammello. Al più possono accettare i miti religiosi sulla
creazione del mondo da parte di un dio.
L’atto creativo effettuato dall’uomo
è al di là non solo della possibilità di comprensione, ma anche
della facoltà di immaginazione del cammello…
Il mondo ruota intorno agli inventori di
valori nuovi – invisibilmente esso ruota. Ma il popolo e la fama
ruota intorno ai commedianti: così va il mondo.
Gli inventori di valori nuovi, i
creatori, sono innovativi appunto perché creano i
valori del futuro. I commedianti invece si rifanno ai vecchi valori,
ormai appartenenti al passato. Ma i cammelli non possono capire il
nuovo e si mantengono fedeli al vecchio, del quale non possono
comprendere il superamento. Il cammello è appagato dalla
universalità (e quindi immutabilità) del valore cui presta fede
(ecco il termine corretto: prestar fede). Il cammello è infatti un
fedele che ritiene la sua credenza “definitiva”.
Il commediante ha spirito, ma poca coscienza
dello spirito. Egli crede sempre a ciò con cui gli riesce di
suscitare la fede più intensa – la fede in se stesso!
Domani avrà una nuova fede e doman l’altro
un’altra ancora più nuova. Simile al popolo, egli ha rapidi
sensi, e umori mutevoli.
La cosa sorprendente sta nel
considerarle di fedi diverse, ma la stessa fede. Il devoto cristiano non ammetterà mai che la religione di Paolo con
l’insistenza sull’importanza della fede sulle opere (come invece
prescriveva l’ebraismo), il cristianesimo medievale di un Bonifacio
VIII, il cristianesimo del XX secolo siano tre cristianesimi diversi:
li considererà sempre e comunque la stessa religione,
definitivamente creata dopo gli avvenimenti palestinesi di venti
secoli fa.
Il commediante è l’uomo di questa
multiforme fede. Non tanto uomo, quanto piuttosto cammello: come
l’attore si cala nelle singole parti e assume le più diverse
personalità, così il cammello sopporta tutto senza distinzioni e
non è in grado di distinguere e respingere.
Sconvolgere – ciò significa per lui:
dimostrare. Far perder la testa – ciò significa per lui
persuadere. E il sangue è per lui la migliore delle ragioni.
Una verità che si insinui solo in orecchie
fini, la chiama menzogna e nullità. Certo, egli crede solo a dèi
che facciano gran fracasso nel mondo!
Il mercato è pieno di buffoni solenni – e
il popolo esalta i suoi grandi uomini! questi sono per lui i padroni
del momento.
Ma il momento li incalza: così essi ti
incalzano: e anche da te pretendono un sì o un no. Guai, vuoi
assiderti tra pro e contro?
Per via di questi assoluti e indiscreti, sii
senza gelosia, tu che sei un amante della verità! Mai la verità fu
al fianco di un assoluto.
Perché la verità non può essere un
assoluto. L’uomo che enuncia la propria verità non può essere un
assoluto. Se fosse un assoluto non sarebbe di questo mondo.
Per via di questi subitanei, ritirati nella
tua sicurezza: solo sul mercato si viene assaliti con la richiesta di
un sì o di un no.
Il mercato è anche il luogo dove si
enunciano le cose con un sì o con un no. Non c’è posto per la
praticamente infinita gamma delle sfumature; non c’è quindi spazio
per il cammino.
Tutte le sorgenti profonde vivono con
lentezza la loro esperienza: esse debbono attendere a lungo prima di
sapere che cosa è caduto nella loro profondità.
Tutto quanto è grande si ritira in disparte
dal mercato e dalla fama: gli inventori di valori nuovi hanno sempre
abitato lontano dal mercato e dalla fama.
Amico mio, fuggi nella tua solitudine: io ti
vedo tormentato dalle punture di mosche velenose. Fuggi là dove
l’aria spira forte e inclemente!
Fuggi nella tua solitudine! Hai vissuto
troppo vicino ai meschini e miserabili. Sfuggi alla loro vendetta
invisibile! Verso di te essi non sono altro che vendetta.
Non levare più il tuo braccio contro di
loro! Innumerevoli sono essi, e non è tuo destino essere uno
scacciamosche. Innumerevoli sono questi meschini e miserabili; e più
di un edificio orgoglioso è andato in rovina solo a causa di gocce
di pioggia e di erbacce.
Tu non sei una pietra, ma già sei divenuto
cavo per le molte gocce. Ancora molte gocce e dovrò vederti spaccato
e in frantumi.
Spossato io ti vedo da mosche velenose,
sanguinosamente segnato in cento scalfitture; e il tuo orgoglio non
vuol nemmeno andare in collera.
In tutta innocenza essi vorrebbero da te il
sangue, sangue bramano le loro anime esangui – e perciò pungono in
tutta innocenza.
Ma tu, che sei profondo, tu soffri troppo
profondamente, anche per piccole ferite; e ancora non sei riuscito a
guarirti, che già lo stesso verme velenoso ti è strisciato sulla
mano.
Tolleranza
Io ti vedo troppo orgoglioso, per uccidere
questi ingordi. Bada però che non diventi la tua rovina, dover
sopportare i loro torti velenosi!
Essi ti ronzano intorno anche con la loro
lode: impertinenza è la loro lode. Essi vogliono la vicinanza della
tua pelle e del tuo sangue.
Essi ti adulano come un dio o un demonio;
essi piagnucolano davanti a te come davanti a un dio o un demonio.
Che importa! Adulatori essi sono e piagnucoloni, nulla di più. –
Spesso fanno anche gli amabili conte. Ma
questa è sempre stata l’intelligenza dei vili. Sì, i vili sono
intelligenti!
Essi riflettono molto su di te nella loro
anima angusta – tu sei sempre inquietante per loro! Tutto quanto è
oggetto di molta riflessione, diventa inquietante.
Essi ti puniscono per tutte le tue virtù. E
ti perdonano, veramente, solo – i tuoi errori.
Tu sei mite e di equo sentire, perciò dici:
«Essi non hanno colpa della loro esistenza meschina». Ma la loro
anima angusta pensa: «Colpevole è ogni grande esistenza».
Zarathustra ammonisce: Bada
però che non diventi la tua rovina, dover sopportare i loro torti
velenosi!
La tolleranza viene comunemente intesa
come applicazione del principio voltairiano: non sono d’accordo con
te, ma mi batterò fino alla morte perché tu abbia il diritto di
esprimerti.
E’ sicuramente un principio ideale da
perseguire nella società e ancora oggi non attuato in molti paesi.
Zarathustra però si pone in una
prospettiva diversa dal sociale (che – ripeto – è pur
fondamentale per la convivenza civile), per cui la valenza della
tolleranza può non essere positiva. Non è accettabile infatti
confondere tolleranza con sopportazione. Mi spiego. Supponiamo che
qualcuno sostenga che non sempre un corpo lasciato libero cade verso
il basso, ma che può anche salire verso l’alto. Io gli chiederei
di specificare o i casi in cui il corpo non cade o le leggi che
regolamentano la caduta; in caso contrario mi sentirei di accusarlo
di ignoranza senza per questo sentirmi intollerante.
Lo stesso succede nel lavoro interiore.
Io non credo che ogni idea abbia la
stessa valenza nel lavoro interiore perché bisognerà pur evitare
questa indifferenza morale o culturale.
Io personalmente ritengo che non tutte
le opinioni possano essere considerate ugualmente valide e che si
possa (anzi, in certi casi si debba) opporsi a certe opinioni, anche
se sono consapevole della non universalità delle piccole verità che
ho raggiunto e della mia impossibilità di imporle ad altri.. Ma è
un terreno scivoloso e non mi sento in grado di stabilire con una
precisione accettabile cosa sia valido e cosa no.
Per parte mia ritengo che la
tolleranza, oltre ad ammettere implicitamente la facoltà che tu
possa esprimere le tue idee, nel lavoro interiore assuma un senso per
così dire costruttivistico.
In un certo senso richiama il simbolo
dell’arco che si appoggia e supera le due colonne, le quali per
così dire sostengono e “tollerano” l’arco stesso. Ecco,
tollerare significa porsi nell’ottica di costruzione: da due idee
opposte riuscire a costruire una nuova idea (né l’una, né
l’altra, ma un po’ dell’una e dell’altra) che “tolleri” i
due punti di partenza. Tollerare quindi significa modalità
costruttiva di superamento del binario. L’immagine architettonica
della tolleranza è data a mio parere dall’arco che sormonta le due
colonne: entrambe le colonne “tollerano”, “sopportano”
l’arco, che si regge appunto perché si appoggia su entrambe. A sua
volta l’arco completa le colonne e “supera” le loro
individualità, rendendole struttura unica. Tollerare quindi
significa costruire e significa pure non accettare ciò che appare
distruttivo.
Nel piano
spirituale (non in quello comportamentale nel quale restano ristretti
tanti uomini non ancora leoni) quindi debbo cercare nelle altre
posizioni diverse dalla mia quel quid che permetta la
costruzione e la stabilità dell’arco. In questo senso (ma solo in
questo senso) posso accettare una specie di equivalenza delle
posizioni come ricchezza dell’uomo e in questo senso (ma solo in
questo senso) rigettare la posizione di chi si ritiene investito di
verità rivelate e di guardarmi – con Brecht – da colui che ha
dio in cielo.
Il camminatore deve liberarsi dai
fastidi degli sciocchi, dai quali non solo non deve aspettarsi aiuti,
ma dai quali deve guardarsi.
Anche se sei mite con loro, si sentono pur
sempre disprezzati; e ricambiano ogni tuo atto benefico con subdole
cattiverie.
Il tuo orgoglio senza parole va sempre
contro il loro gusto; giubilano, se qualche volta sei tanto modesto
da essere vanitoso
Nell’atto stesso in cui noi riconosciamo
qualcosa in un uomo, questo qualcosa prende fuoco in lui. Perciò
guardati dalle persone meschine!
Essi si sentono meschini di fronte a te, e
la loro bassezza cova, ardente sotto la cenere una vendetta
invisibile. Quante volte sono ammutoliti al tuo apparire, e la loro
forza li ha abbandonati come il fumo di un fuoco che si estingue: non
l’hai notato?
Sì, amico mio, tu sei la cattiva coscienza
dei tuoi prossimi: essi infatti non sono degni di te. Perciò ti
odiano e vorrebbero succhiarti il sangue.
I tuoi prossimi saranno sempre mosche
velenose; ciò che in te è grande – proprio questo non può non
renderli più che velenosi e sempre più mosche.
Amico mio, fuggi nella tua solitudine e là
dove spira un’aria forte e inclemente. Non è tuo destino essere
uno scacciamosche. –
Così parlò Zarathustra.
NOTA - La frase di Brecht non significa
elogio dell’ateismo (posizione che personalmente rifiuto come
rifiuto quella di credente e di religioso), ma rinuncia di idee
preconcette e assolutiste. Vi è uguaglianza delle potenzialità
nella ricerca, ma la verità è una conquista individuale e non
tutti gli uomini sono uguali sul piano delle realizzazioni
(uguaglianza dei diritti, ma non dei doveri: chi è più in alto –
cfr. il maestro nel Gioco delle perle di vetro di Hesse –
ha più doveri). La strada è per tutti – cammelli compresi –,
ma sarà percorsa solo da chi vorrà e ne sarà capace. Solo i
capaci da cammelli diventeranno leoni. E solo gli ancora più capaci
da leoni fanciulli. Troppo superficiale invece la posizione di chi
ritiene valide tutte le diverse vie, a patto di mantenere una sola
meta.
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